A partire dal 9 settembre 1943 s’insedia in alcuni edifici di Piacenza l’apparato germanico di occupazione: il Comando militare, uomini delle SS e della polizia di sicurezza, più funzionari preposti allo sfruttamento delle risorse umane ed economiche della provincia. Viene assunta direttamente la direzione dell’arsenale militare, del servizio ferroviario e delle comunicazioni telefoniche e postali. A tenere sotto controllo l’insieme della popolazione e assicurare il funzionamento dei servizi indispensabili allo stesso esercito d’occupazione sono incaricati di provvedere gli esponenti e i corpi del restaurato regime fascista. Ma quando questi si dimostrano non in grado di fronteggiare i ribelli partigiani sono le forze militari tedesche ad organizzare direttamente incursioni e rastrellamenti.
L’apparato hitleriano di occupazione a Piacenza
Travolta, nella mattinata del 9 settembre '43 la resistenza militare e catturati per l’inoltro in Germania tutti i militari italiani che non riescono a sfuggire dalle loro mani, le forze hitleriane assumono il controllo di Piacenza. Collocano il loro Comando Piazza con a capo il colonnello Bleker inizialmente nell’edificio della GIL fascista di Piazzale Genova (ora sede del liceo scientifico) e poi nel palazzo al numero 38 dell’allora via Solferino (ora via Santa Franca). Questi militari appartengono all’esercito territoriale tedesco di occupazione, con a capo il generale Toussaint fino all’agosto ’44. Le forze della Wehrmacht e della Luftwaffe impegnate direttamente nella guerra contro gli Alleati anglo-americani sono invece al comando del maresciallo Kesserling. L’esercito include propri reparti di polizia militare, la Feldgendarmerie; una squadra di questa nella primavera del ’44 viene dislocata a Bettola.
Nel palazzo al n. 64 di via Cavour s’insediano invece gli uomini della Sicherheitspolizei, in sigla SIPO, composta dal Sevizio di sicurezza della SS, in sigla SD, dalla Polizia criminale e dalla Polizia politica segreta, cioè la Gestapo. La struttura di Piacenza e però solo un Assunposten dipendente dall’Assunkommando di Parma. Nell’edificio di via Cavour sono realizzate alcune celle per tenervi le persone sottoposte ad interrogatori, con ricorso anche alla tortura. Capo delle forze di polizia in Italia dall’inizio alla Liberazione è il generale delle SS Wolf, con sede a Verona. Da agosto ’44 è affidato a lui anche il comando dell’esercito territoriale.
Dopo la liberazione di Firenze – 11 agosto ’44 – si trasferiranno a Piacenza pure alcuni uomini della famigerata banda Carità-Koch; con questi e con alcuni elementi della Sipo viene costituita, sotto il comando dell’altoatesino Maroder, una sezione speciale per la ricerca e cattura degli oppositori al nazifascismo con sede in Via Garibaldi n.7 , dipendente direttamente dall’Assunkommando di Parma.
Presso il Comando militare di via Santa Franca arrivano successivamente dalla Germania i funzionari, anche questi in divisa militare, che hanno il compito di organizzare lo sfruttamento delle risorse della provincia di Piacenza per l’economia di guerra nazista: reclutamento, volontario o forzato, di lavoratori da mandare in Germania in aggiunta ai militari catturati e già deportati; reclutamento di altri lavoratori nell’organizzazione Todt addetta ai lavori richiesti in Italia dall’esercito di occupazione; finalizzazione alla guerra hitleriana della produzione industriale e prelievo, per l’invio in Germania, di parte delle locali risorse agricole-alimentari. La Todt ha un ufficio di reclutamento al civico 94 di Piazza dei Cavalli e utilizza la caserma di Via Emilia Pavese come base organizzativa e per la custodia dei lavoratori condotti a Piacenza da altre province. Nel luglio ’44, con reparti militari tedeschi e della Rsi, viene attuato un gande rastrellamento, l“operazione Wallenstein”, in val d’Arda e Val Nure non solo per eliminare i partigiani ma anche per prelevare di forza manodopera da inviare in Germania.
Una divisione di compiti fra hitleriani e fascisti
L’esercito tedesco, essendo impegnato anche in Italia sul fronte di guerra contro gli Alleati, non può destinare molti uomini all’organizzazione territoriale di occupazione, per cui in provincia vengono dislocati piccoli presidi solo nei centri maggiori: Fiorenzuola, Castel S. Giovanni, Bettola e Bobbio. Hitler non per caso ha promosso e concordato con Mussolini la ricostituzione, sotto protezione tedesca, del regime fascista. E’ infatti compito di questo tenere sotto controllo l’insieme della popolazione della provincia, fronteggiare gli eventuali ribelli e assicurare il funzionamento dei servizi indispensabili allo stesso esercito d’occupazione (La RSI a Piacenza).
L’apparato tedesco provvede peraltro ad assumere direttamente, con propri uomini, la direzione di elementi strategici per l’occupazione della provincia e per la guerra contro gli Alleati: l’Arsenale militare e la sezione d’Artiglieria, la Stazione di Piacenza e il servizio ferroviario, le comunicazioni telefoniche e quelle postali, l’organizzazione antiaerea.
Sono esponenti militari tedeschi ad avere il comando di operazioni di rilevo contro i partigiani anche se compiute con milizie della Rsi, e a sovrintendere alla vigilanza delle principali infrastrutture viarie a cominciare dai ponti sul Po. La Luftwaffe dispone dell’aeroporto di San Damiano, avuto in uso esclusivo già dal passato governo di Mussolini e che è stata così un base strategica per la stessa occupazione tedesca dell’Italia, con i numerosi aerei e gli oltre 1500 militari che vi erano stati concentrati prima dell’8 settembre ‘43.
Inizia per i piacentini il periodo più tragico della Seconda guerra mondiale
Quando poi le milizie fasciste e gli stessi battaglioni della Divisone alpina Monterosa addestrata in Germania si dimostrano non in grado di fronteggiare ed eliminare i “ribelli” piacentini, sono i comandi tedeschi ad organizzare direttamente incursioni e rastrellamenti tramite anche gruppi di militari spostati a Piacenza da altre province vicine, fino mettere in campo nel novembre ’44 l’intera Divisione “mongola-tedesca” Turkestan in un poderoso, avvolgente e sanguinoso rastrellamento che travolgerà temporaneamente, fra dicembre ’44 e gennaio ’45, tutte le formazioni partigiane della provincia.
Per la popolazione piacentina, che il 25 luglio aveva festeggiato la fine del fascismo e sperato in quella della guerra, con l’occupazione tedesca, seguita dal ritorno dei fascisti al potere, inizia il periodo più duro della seconda guerra mondiale, periodo di terrore, di privazioni, di sofferenze e di morte.
Gli occupanti si manifestano subito con i loro diktat in tedesco e italiano, a mezzo radio, manifesti e volantini. Pretendono anche che i militari italiani non ancora catturati e deportati in Germania si presentino spontaneamente per fare la stessa fine e che i piacentini facciano i delatori per la cattura dei militari anglo-americani che il 9 settembre erano riusciti a lasciare i campi di prigionia. Minacciano fucilazioni che mettono presto in atto. La prima vittima è Giancarlo Finetti di SanGiorgio Piacentino, ucciso il 28 di ottobre ’43. Seguiranno gli invi in lager di sterminio, gli eccidi, le rappresaglie (10 fucilati per 1 perdita tedesca), le stragi.
R. R.