Le adesioni alla resistenza armata e la sua organizzazione si sviluppano anche in provincia di Piacenza gradualmente. Piccoli nuclei inferiori a dieci soggetti fino al dicembre 1943; alcune bande con qualche decina di appartenenti ancora a inizio marzo ’44; prime formazioni con un numero di aderenti che si avvicina al centinaio entro il mese di maggio; poi la grande crescita dei mesi estivi, con la costituzione di diverse brigate partigiane ognuna con 100/300 appartenenti.
Nei primi tempi le forme organizzative sono spontanee: gruppi di coraggiosi che si raccolgono attorno a capi che danno prova di esperienza militare e carisma; si procurano qualche arma, trovano una base in montagna dove rifugiarsi e sfuggire alla cattura da parte delle forze nazifasciste, compiono contro queste qualche colpo di mano. Più avanti la crescita del movimento di resistenza e la sua organizzazione sono promosse e coordinate da organismi politico-militari sorti nel frattempo nel Nord Italia sotto occupazione tedesca.
Organi politico-militari di promozione e indirizzo della Resistenza
Il 9 settembre 1943 viene costituito a Roma il Comitato di Liberazione Nazionale che impegna gli esponenti antifascisti dei diversi orientamenti politici ad organizzare la resistenza. All’inizio dell’ottobre si forma a Piacenza il CLN provinciale che, oltre a provvedere al reperimento di armi per i primi nuclei di ribelli, nomina anche primi comandanti delle formazioni. Nel gennaio ’44 il CLN di Roma riconosce quello di Milano quale CLN Alta Italia incaricato di sovrintendere al movimento partigiano nel Nord del Paese. Il CLN AI si affianca di un proprio Comitato militare (Cfr. Generale Bellocchio) e via via elabora e fornisce indicazioni organizzative per le formazioni combattenti. Dopo il loro grande sviluppo dell’estate ’44, ne promuove il seguente inquadramento.
Le formazioni partigiane sono articolazioni del Corpo Volontari della Libertà (CVL), alla cui direzione politica sta il CLN AI e a quella militare il Comando Generale per l’Alta Italia occupata. Questa, ai fini dell’organizzazione della resistenza armata, viene suddivisa in Zone operative: quella di Piacenza è numerata quale XIII Zona e corrisponde al territorio provinciale meno i comuni della Val Trebbia a monte di Bobbio che rientrano nella VI Zona (genovese). In ogni Zona, oltre al CLN locale viene previsto un Comando Unico dei partigiani (Cfr. Comando Unico della XIII Zona). Per il coordinamento dell’attività delle formazioni partigiane di Reggio Emilia, Parma e Piacenza, viene costituito anche un Comando Militare Nord Emilia (CMNE).
Struttura delle formazioni partigiane
Anche per le formazioni partigiane si utilizzano termini militari ma le loro caratteristiche sono ben diverse da quelle di un normale esercito. La loro struttura organizzativa fondamentale è la brigata, ma queste sono formate da un centinaio a circa trecento partigiani, mentre le contemporanee brigate dell’esercito italiano e tedesco hanno dai 4.000 ai 6.000 effettivi. Non comparabile l’armamento: quello tipico dei partigiani è costituito solo da armi leggere di vario tipo sottratte ai nemici e dallo Sten inglese, con tiro mirato di soli 20/25 metri, che arriva loro dai lanci aerei, qualche mitragliatrice, esplosivi per i sabotaggi e bombe a mano, penuria di munizioni con, di conseguenza, capacità di fuoco di poche ore o anche solo di pochi minuti. Alle spalle delle formazioni partigiane non sta la logistica che è componente fondamentale degli eserciti.
Le brigate partigiane sono ripartite in distaccamenti con proprio comandante, distribuiti nel territorio sotto controllo della brigata; l’unità operativa di base è la squadra con caposquadra; speciali “squadre volanti” si recano a tendere agguati anche sulla via Emilia agli automezzi militari nemici. Essendo sorte entro luglio ’44 in Val Trebbia e Val Tidone più brigate, queste all’inizio di agosto vengono aggregate in una divisione; più avanti anche fra le brigate della val d’Arda viene costituita una divisione, infine la cosa avviene anche in Val Nure.
I comandi delle brigate, delle divisioni e del Comando Unico di Zona hanno una composizione variabile: oltre al comandante e al commissario politico (cfr. oltre) possono includere i loro vice e altre figure tipiche dei corpi militari, quale il capo di stato maggiore, l’intendente maggiore, il responsabile del servizio informazioni.
Una organizzazione parallela alle brigate, che nasce durante l’estate del ’44 a Piacenza e nei comuni rivieraschi del Po, è quella delle Squadre di Azione Patriottica (Cfr. I sappisti).
Nominativi e affiliazioni delle formazioni piacentine
Esponenti del Pci, quale il piacentino Antonio Carini, che avevano partecipato alla guerra civile spagnola (1936-’39), già il 20 settembre ’43 hanno costituito clandestinamente a Milano un Comitato promotore di formazioni combattenti intitolate all’eroe del Risorgimento Giuseppe Garibaldi; ne discende che le prime brigate piacentine sorte in Val d’Arda e Val Nure, con il contributo di militanti comunisti, adottano quel nome al quale viene poi aggiunto quello del primo loro caduto, a partire dalla 38a Brigata Garibaldi “Angelo Villa” della Val d’Arda.
L’ex tenente dei carabinieri Fausto Cossu, a cui finiscono per far capo tutte le formazioni partigiane della Val Trebbia e Val Tidone, tende a presentarle come apolitiche, ma decide comunque di collegarsi alla componente del movimento partigiano che all’interno del CLN AI fa riferimento al Partito d’Azione, per cui le brigate di queste due vallate vengono a chiamarsi Brigate Giustizia e Libertà (GL). Di conseguenza ci sarà poi poi la Divisione Giustizia e Libertà, la Divisione Garibaldi Val d’Arda e la Divisione Garibaldi Val Nure.
Di fatto tutte le formazioni partigiane sono composte da partigiani di diversi orientamenti politici antifascisti e da antifascisti senza uno specifico orientamento partitico. Anche i comandanti delle “Garibaldi” potevano essere degli ex militari non comunisti, però in queste era prevista la figura del “commissario politico”, generalmente un comunista, il quale, oltre a coadiuvare il comandante in tutte le incombenze, aveva anche il compito di tenere conversazioni con i partigiani per orientarli politicamente, se non in termini di partito, sui valori e gli obiettivi dell’antifascismo e della lotta di Liberazione. In seguito, per decisione del CLN AI, la figura del commissario politico è introdotta in tutte le formazioni ma vengono infine eliminati i riferimenti ad affiliazioni politiche: Divisione Piacenza si ridenomina quella al comando di Cossu, le altre perdono nel nome il richiamo a Garibaldi.
Fasi di sviluppo organizzativo e di crisi
La fase cui in il movimento partigiano piacentino nelle diverse vallate può darsi la struttura organizzativa suddetta va però solo da agosto a novembre ’44. Inizia quando, passata anche Bettola sotto controllo partigiano vi si insedia ed organizza il Comando Unico della XIII Zona e i presidi nazifascisti sono progressivamente cacciati da tutti i comuni montani e collinari. In questi vengono costituite amministrazioni antifasciste, le formazioni riescono a dotarsi anche di infermerie partigiane, ad organizzare centri di custodia dei militari nemici catturati, a costituire servizi di polizia, a pubblicare propri periodici.In questa fase la vita materiale dei partigiani è meno dura: sono sempre distribuiti fra i diversi centri abitati del territorio controllato ma possono disporre anche di locali pubblici per le loro basi, hanno automezzi sottratti al nemico e con questi possono più agevolmente spostarsi e compiere nuovi colpi di mano; per il loro sostentamento usufruiscono anche depositi di derrate precedentemente gestiti dalle autorità fasciste.
A partire dal 23 novembre ’44 tutte le formazioni partigiane sono però travolte dal grande rastrellamento attuato dall’esercito tedesco che, essendo stata sospesa temporaneamente l’offensiva degli Alleati sulla linea Gotica, sposta e impiega nel territorio piacentino l’intera sua Divisione Turkestan. Nei successivi tre mesi, di un inverno in montagna particolarmente rigido, i partigiani piacentini vivono il periodo più sofferto e drammatico della storia della Resistenza: le formazioni sono disperse, i partigiani sono braccati ovunque cerchino salvezza, quasi trecento perdono la vita (Cfr. Rastrellamento “nazi-mongolo”)
Tuttavia verso la fine del febbraio ’45 i partigiani cominciano a riorganizzarsi a partire sempre dalle zone più alte dell’Appennino. Gli Alleati hanno ripreso l’offensiva e, consapevoli dell’importanza del loro apporto per mettere in rotta l’esercito hitleriano, provvedono con lanci aerei a rifornirli di armi, di munizioni e di altri equipaggiamenti, comprese divise militari. Rapidamente le brigate si ricostituiscono, alcune nuove si formano con gli ultimi aderenti alla lotta al nazifascismo. In conseguenza delle vicissitudini degli ultimi mesi mutano in parte i comandi delle formazioni.
Alla manifestazione della vittoria, il 5 maggio 1945 a Piacenza, la sfilata dei partigiani, tutti assieme e con alla testa i loro comandanti, può dare per la prima volta l’idea di un esercito. Diversi ora indossano un giubbotto di tipo militare, ma tuttora questi combattenti non marciano “al passo”.
La consistenza del movimento partigiano piacentino
I componenti dell’“esercito partigiano”, in quanto aderenti volontari, sono stati sempre in numero variabile, si potrebbe dire da un giorno all’altro. Inoltre le condizioni in cui si trovavano ad operare e a vivere loro e i loro comandi rendeva impossibile a questi di tenerne una registrazione aggiornata. La si è potuto fare in modo organico solo immediatamente dopo la Liberazione nei “ruolini partigiani”, quaderni scritti a mano in cui sono segnati i nominativi e i loro dati essenziali, fra cui la formazione finale di appartenenza. Le strutture organizzative dei partigiani – Comando Unico, comandi di divisione, comandi di brigata – nel compilare quei ruolini non avevano naturalmente a disposizione le registrazioni tipiche degli eserciti, che vanno a comporre il foglio matricolare/stato di servizio di ogni militare. Di conseguenza può essere sfuggito qualche nominativo e qualche dato può mancare o risultare errato.
Nell’agosto del 1945 il nuovo governo dell’Italia liberata ha fissato le norme per il riconoscimento ufficiale dei partigiani tramite apposite commissioni ministeriali. Dovevano essere riconosciuti “partigiani combattenti”, oltre ai caduti e feriti in azioni partigiane, coloro che aveva militato in una formazione per almeno tre mesi e partecipato ad almeno tre azioni. Veniva invece attribuita la qualifica di “patriota” a chi, pur non rientrando nella precedente qualifica, avesse “contribuito attivamente alla lotta di liberazione, militando ad esempio in una formazione per un periodo inferiore ai tre mesi”. Successivamente si è introdotta anche la qualifica di “benemerito” per chi, pur non rientrando nelle precedenti qualifiche, avesse “svolto con proprio rischio rilevanti attività nella lotta di liberazione”.
Le istruttorie si sono svolte nel corso del 1946, sulla base della documentazione presentata dalle associazioni rappresentative dei partigiani e delle richieste degli interessati. Vi sono stati anche dei partigiani che non hanno presentato richiesta, altri che non erano in gradi farlo perché vivevano ormai lontano da Piacenza. Pertanto nell’elenco dei riconosciuti qualcuno che ne avrebbe diritto non figura. Complesso è poi l’elenco dei caduti, perché sono da considerare i caduti fra i partigiani combattenti, gli altri antifascisti arrestati e fucilati dai nazifascisti, gli antifascisti deportati e morti nei lager nazisti, le vittime civili di operazioni contro i partigiani, le persone scomparse delle quali si è accertata l’eliminazione ad opera dei nazifascisti in tempi successivi.
La conseguenza di quanto esposto è che i dati complessivi sul movimento partigiano piacentino, e sugli stessi caduti, variano in parte a secondo delle fonti a cui si fa riferimento, non si dispone cioè, per così dire, di numeri ufficiali. Di seguito vengono indicati quelli presenti nella pubblicazione edita nel 1999 dal Comitato provinciale di Piacenza dell’Anpi, “Monumenti, cippi e lapidi ai caduti della resistenza piacentina”. La consistenza delle singole formazioni si trova nelle specifiche voci della enciclopedia. Nella voce “I partigiani piacenti: età, condizione sociale, formazione scolastica”, sono riportati i dati risultanti dalla elaborazione delle informazioni contenute nel data base presente in https://disci.unibo.it/it/biblioteca/chi-siamo/patrimonio/fondi-archivistici/partigiani/ , realizzato in occasione del 60° anniversario della Resistenza, che evidenzia anche la componente femminile.
- Partigiani appartenenti alle tre Divisioni, organizzati in 23 brigate operanti nel territorio appenninico, n. 5.907.
- Partigiani appartenenti alle Squadre di Azione Patriottica operanti a Piacenza e pianura, n. 729.
- Partigiani complessivi, n. 6.636
- Patrioti, n. 1.119
- Benemeriti, n. 497
- Totale fra donne e uomini impegnati attivamente contro le forze hitleriane e fasciste, n. 8.252, di cui caduti n. 778 e feriti n. 924.
Elenco dei caduti: https://www.enciclopediaresistenzapc.it/wiki_cats/elenco-caduti-partigiani/
Bibliografia
- Maria Luisa Cerri, Rassegna bibliografica – Elenco formazioni XIII zona, a cura del Comitato Provinciale Anpi di Piacenza, Piacenza 1977.
- Giuseppe Berti, Linee della Resistenza piacentina, vol. II, La società piacentina degli anni Quaranta (1943-1945), Istituto piacentino per la storia della Resistenza, Piacenza 1980.
- Enciclopedia della Resistenza, a cura di A. Boldrini, Teti editore, Milano 1980.
- Mirco Dondi, La Resistenza fra unità e conflitto, Bruno Mondadori, 2004.
- Dizionario della Resistenza, a cura E. Collotti, E. Sandri, F. Sessi, Einaudi, Milano 2006.
R. R.