Emilio Canzi “Ezio Franchi” (1893-1945)

È uno dei vecchi antifascisti promotori del movimento partigiano. Aveva contrastato i fascisti già al loro sorgere. Emigrato nel 1922 in Francia, nel ‘36 è fra volontari che in Spagna combattono per la difesa della repubblica. Ne 1942 è deportato in Germania e poi consegnato alle autorità fasciste che lo  confinano nell’Isola di Ventotene.

Tornato libero nel settembre ‘43 si unisce ai primi resistenti piacentini. Diventa uno dei 5 componenti del CLN provinciale. Catturato  da fascisti nel febbraio ’44 è liberato tramite uno scambio di prigionieri.

Viene nominato a capo del Comando Unico provinciale delle formazioni partigiane e vive con queste successi e sconfitte. Viene a mancare nel novembre 1945 per le conseguenze di un incidente stradale.

Le origini, l’opposizione al fascismo, la partecipazione alla guerra civile spagnola.

Nato a Piacenza il 14 Marzo 1893, Emilio Canzi frequenta la scuola tecnica ma deve abbandonarla per cominciare a lavorare. Chiamato al servizio militare nel 1913 vi rimane per sei anni, prima in Libia e poi sul fronte della prima guerra mondiale. E’ congedato  con il grado di sergente maggiore.

Partecipa a Piacenza alle agitazioni del dopoguerra, aderendo al movimento anarco-sindacalista.

Scende in campo contro lo squadrismo fascista, partecipando all’addestramento degli Arditi del Popolo. Indiziato per l’omicidio di un fascista, nel 1922 emigra in Francia.

Nel settembre del ‘36  da Parigi accorre in Spagna per la difesa della repubblica e partecipa ai combattimenti in Aragona contro i nazionalisti, con compiti di comando, che gli faranno attribuire il titolo di “colonnello anarchico” Nel giugno 1937 viene ferito negli scontri per la liberazione di Huesca. Tornato in Francia si prodiga ancora per la causa spagnola.

Comandante in capo del movimento partigiano piacentino

Dopo l’occupazione nazista della Francia Emilio Canzi è arrestato e inviato in un campo di concentramento tedesco, poi consegnato alle autorità fasciste italiane che lo confinano nell’isola di Ventotene, quale “pericoloso anarchico”. Dopo il 25 luglio del ’43 è trasferito nel campo di concentramento di Renicci d’Anghiari (AR), da cui riesce a fuggire il 14 settembre. Arrivato a Piacenza, prende subito contatto con gli antifascisti orientati ad organizzare la Resistenza.

All’inizio di ottobre partecipa alla costituzione e diviene uno dei cinque membri del CLN piacentino, quale esperto militare. Contribuisce alla crescita del gruppo di Peli e prende contatto con il CLN AI di Milano e con esponenti dell’Emilia. Ma il 14 febbraio, di ritorno da Parma, viene catturato dalle milizie fasciste.  Torna libero il 24 giugno per uno scambio con militi fascisti catturati dai partigiani.

L’estate del ‘44 è segnata dal grande sviluppo del movimento partigiano che assume il controllo di diversi comuni dell’Appennino. Sia a livello nazionale che locale si pone l’esigenza di coordinare l’azione delle diverse formazioni. Il nord Italia viene suddiviso in Zone: l’area provinciale piacentina assume il nome di XIII Zona partigiana.

A capo della Zona vene posto un Comando Unico, organo collegiale con un capo. L’esperienza militare e la rettitudine del cinquantunenne Emilio Canzi, ma anche il fatto che politicamente non sia né di parte comunista né di parte democristiana e tuttavia stimato sia da Francesco Daveri che da Paolo Belizzi,  conducono ad una scelta unitaria del CLN su di lui.

Un difficile compito fra comandanti autonomi. Poi arriva la Turkestan.

All’inizio di agosto anche Bettola passa sotto il controllo dei partigiani e diventa la sede naturale del Comando Unico. Emilio Canzi, che ha assunto il nome partigiano di Ezio Franchi, sovrintende a quella che è la fase dei maggiori successi del movimento partigiano: la liberazione del 60% del territorio provinciale e l’organizzazione di nuove amministrazioni comunali che prefigurano il futuro democratico della società.

Peraltro, mentre fanno riferimento alle indicazioni del CU le due brigate della Va Nure, tengono a mantenere la propria autonomia  operativa il comandante della Divisione Val d’Arda, Giuseppe Prati,  e in particolare quello della Divisione della Val Trebbia-Val Tidone, Fausto Cossu.

Anche il CU viene poi travolto dal grande rastrellamento della divisionemongolo”-tedesca Turkestan che, iniziato il 23 novembre ’44 in Val Tidone,  già il 2 dicembre riporta pure Bettola in possesso dei nazifascisti.  Quando il 6 gennaio ’45 i partigiani, costretti ad abbandonare anche l’alta Val Nure, sono ammassati nella frazione di Pione del parmense comune di Bardi e i rastrellatori stanno arrivando in forza anche lì,  Canzi non si sottrae alla responsabilità di disporre che le formazioni si sciolgano e i partigiani cerchino la salvezza  disperdendosi in piccoli gruppi.

Anche lui con pochi compagni vaga per diversi giorni nella neve che ha raggiunto lo spessore di un metro, prima in direzione di Bardi, poi, per sfuggire ai nazi-mongoli giunti anche lì, di ritorno verso il territorio piacentino. Riesce infine a filtrare fra i nemici fino a giungere, ammalato di pleurite, a Peli, dove sa che potrà trovare rifugio in quella solidale comunità di contadini. Viene infatti ospitato, nascosto e curato dalla famiglia di Alberto Grassi.

 Semplice partigiano

I partigiani sparsi riprendono nel febbraio ’45 i contatti. Si ricostituiscono i nuclei delle vecchie brigate. Da S. Stefano d’Aveto interviene in Val Nure con una ventina di uomini l’abile comandante Istriano della 60a Brigata Garibaldi “Caio”, già protagonista della prima liberazione dell’alta-media vallata. Rianima gruppi di partigiani locali e, assieme a questi, il 23 di febbraio, con un sanguinoso combattimento  scaccia per la seconda volta il presidio nazifascista da Bettola. Forse ambisce a diventare lui il comandante in capo della XIII Zona piacentina. Canzi denuncia l’intervento quale ingerenza e Istriano ritorna in val d’Aveto.

La posizione del “comandante anarchico” viene però messa in discussione dagli esponenti comunisti del CMNE che aspirano a sostituirlo con un esponente di loro fiducia e gli rimproverano mancanza d’iniziativa e autorevolezza.  Si apre una complessa controversia.  Alla fine quel superiore organo militare decide la sostituzione di Canzi con il colonnello Luigi Marzioli. Questi fino al 9 settembre ’43 era il responsabile del Distretto militare di Piacenza, più avanti era diventato per i partigiani il capo del Comando piazza della città. Aveva buoni rapporti con i comunisti ed era gradito agli Alleati.

Il vecchio combattente antifascista non cede e, a pochi giorni dalla Liberazione, il 20 aprile 1945, subisce l’umiliazione del prelievo di forza dalla sede del Comando Unico a Groppallo di Farini. Torna libero il giorno dopo e partecipa il 28 alla liberazione di Piacenza, ma da semplice partigiano.

Il tragico incidente e la morte

Emilio Canzi è però il combattente per la libertà più applaudito nella sfilata della vittoria, il 5 maggio ’45 a Piacenza. Poi si mette subito al lavoro per affermare i valori della Resistenza. Costituisce e diventa presidente della sezione piacentina dell’ANPI e la rappresenta nel CLN provinciale, ancora attivo fino alle elezioni ammnistrative del marzo 1946.

Il 30 Settembre rimane però gravemente ferito nello scontro, ad un incrocio di Piacenza, fra la sua moto e un automezzo dell’esercito alleato.  Ricoverato all’ospedale viene a mancare il 17 novembre. Due giorni prima gli era stato comunicato il reintegro al vertice del Comando Unico.

M.P. – R.R.

Bibliografia

  • Mirco Dondi, La Resistenza fra unità e conflitto – Vicende parallele fra dimensione nazionale e realtà piacentina, Bruno Mondadori, 2004.
  • Ivano Tagliaferri, Il colonnello anarchico. Emilio Canzi e la guerra civile spagnola, Scritture, Piacenza 2005.
  • AA.VV., Dossier EMILIO CANZI. Un taciturno combattente per la libertà, Supplemento del n. 36 (aprile 2006) della rivista anarchica A.