Giancarlo Finetti (30.10.1917 – 28.10.1943), il primo caduto partigiano

La famiglia Finetti di San Giorgio Piacentino nel settembre 1943 era composta dal padre Gugliemo, dalla moglie Elena Savi e dai loro sette figli: quattro macchi, Ugo di 29 anni, Giancarlo prossimo ai 26, Elio di 20, Aldo di 15, e tre femmine, Ave di 21, Giulia di 17 e Teresa di 9. I tre maschi maggiori erano stati arruolati nella guerra scatenata da Hitler e Mussolini. Ne sono però usciti vivi e dopo l’armistizio dell’Italia con gli Alleati riescono anche a sottrarsi alla cattura tedesca e a tornare in famiglia a S. Giorgio.

Ma le forze militari tedesche e quelle del nuovo regime fascista di Salò vanno ancora alla loro caccia: Giancarlo viene ucciso a Bettola, Elio è deportato in un lager di lavoro in Germania.

Il bando tedesco e la resistenza di Giancarlo

Le forze militari hitleriane giunte fra l’8 e 9 settembre 1943 ad occupare l’Italia non si accontentano di disarmare, fare prigionieri e inviare in Germania i soldati italiani che re, governo Badoglio e molti comandanti militari hanno di fatto consegnati nelle loro mani. Nei giorni e nelle settimane seguenti vanno alla ricerca dei soldati sfuggiti alla cattura, aiutati dalle reinsediate autorità fasciste che dispongono degli elenchi dei nomi e degli indirizzi.

Il 18 settembre ’43 in ogni comune, compreso quello di S. Giorgio, sugli spazi riservati alle affissioni appare il bando del Comando militare tedesco: “I militari italiani di qualsiasi grado, anche quelli appartenenti a reparti scioltisi, dovranno presentarsi in uniforme subito presso il più vicino Comando militare germanico. I militari che non si presenteranno saranno deferiti al tribunale di guerra”.

Giancarlo Finetti, classe 1917, aveva assolto fra il 1938 e ‘39 all’obbligo dei 18 mesi della leva militare, ma subito dopo era stato richiamato in servizio per la guerra. All’armistizio del ’43 rivestiva il grado di caporale maggiore; si era distinto quindi in capacità militari.

Assieme ai suoi due fratelli, e come quasi tutti gli ex militari piacentini tornati salvi a casa, si guarda bene dall’andare a consegnarsi ai tedeschi (i renitenti) , ma lui decide subito anche di spostarsi in montagna e diventare un resistente attivo. Lascia la sua abitazione e si traferisce presso una famiglia contadina di Groppoducale , frazione del comune di Bettola.

La caccia agli ex militari italiani e agli ex prigionieri inglesi

In quelle settimane i militari tedeschi sono pure alla ricerca degli ufficiali britannici che il 9 settembre hanno abbandonato il campo di prigionia di Veano (Militari stranieri da prigionieri a partigiani) e hanno trovato ospitalità in paesi fuori mano della Val Nure. Impegnata in quella caccia è anche una squadra della MVSN fascista insediata a Bettola e comandata dal tenente Filippo Zanoni (Milizie fasciste). Vengono fatte spedizioni verso i paesi nei quali è presunta la presenza dei ricercati, ex militari italiani ed ex prigionieri inglesi.

Gli ufficiali inglesi sarebbero facile preda perché non conoscono il territorio e non saprebbero come sfuggire alla cattura. Giancarlo Finetti si prodiga per aiutarne diversi, e con successo, tanto è vero che finita la guerra arriverà a sua madre una lettera di ringraziamento dell’esercito inglese. Alla madre, perché lui ha pagato con la vita il suo contributo alla Resistenza nei confronti delle forze nazi-fasciste.

Tale contributo, secondo la testimonianza raccolta dal maestro bettolese Gino Pancera è consistito anche nell’aver sottratto ai militari tedeschi, in Piacenza, una autovettura contenente armi e munizioni, condotta poi in modo rocambolesco a Groppoducale dove si stava formando un primo nucleo di partigiani.

Giancarlo Finetti riconosciuto a Bettola come avversario dei nazifascisti e ucciso

Qualche giorno dopo quell’audace impresa, Giancarlo riceve in Val Nure la visita della fidanzata, giunta con la linea ferroviaria Piacenza-Bettola. Quando la sta accompagnando alla stazione di Bettola per il ritorno a Piacenza, dove lei abita, viene bloccato da una pattuglia tedesca, probabilmente su indicazione di un delatore. Cerca di fuggire buttandosi dal muraglione lungo il Nure e correndo via nell’alveo. Ma uno di quei soldati “comodamente appostato sul muro lo colpisce a morte come in un tiro a segno … e si vedono le acque del torrente tingersi di rosso del sangue di Giancarlo (Pancera).

Dopo i caduti durante la resistenza militare alla occupazione tedesca, il 9 settembre a Piacenza, Giancarlo Finetti quel giovedì 28 ottobre 1943 è la prima vittima piacentina del nazi-fascismo, il primo caduto partigiano.

Hitleriani e fascisti non si accontentano di quell’esecuzione. Nella stessa giornata, portando con sé ammanettata la fidanzata di Giancarlo, si recano all’abitazione dei Finetti a San Giorgio. Trovano in casa e trascinano in carcere a Piacenza oltre al ventenne Elio anche il fratello quindicenne Aldo e il loro padre Guglielmo. Gli ultimi due quale ricatto per la mancata cattura del terzo ex militare della famiglia, Ugo, il quale gli era sfuggito perché vedendoli arrivare si era rifugiato nella casa e sotto il letto di un vicino.

Una famiglia partigiana

Ad Elio tocca la sorte degli IMI: trasferito prima nel carcere di Parma e poi in quello di Verona, da lì è deportato in ferrovia in un lager di lavoro coatto in Germania. Tornerà a casa dopo la fine della guerra, nel giugno del 1945.

Aldo è liberato dopo qualche giorno, ma il padre Gugliemo viene tenuto a lungo in carcere.

Tutti i componenti della famiglia Finetti per sottrarsi alle persecuzioni nazifasciste lasciano poi la propria casa di San Giorgio e si traferiscono in un caseggiato in collina, a Corneliano nel comune di Gropparello. Hanno ben motivo di combattere i nazi-fascisti: Ugo nell’aprile 1944 entra a far parte della formazione partigiana della Val d’Arda che prenderà il nome di 62a Brigata Garibaldi; lo segue più avanti il giovanissimo Aldo.

Anche la sorella Giulia sarà ufficialmente riconosciuta come partigiana (nelle Brigata Inzani della Val Nure) per la sua collaborazione con i combattenti: ne ha, fra l’altro, aiutato molti a sottrarsi alla cattura durante il drammatico rastrellamento nazi-mongolo dell’inverno ‘44-’45, nascondendoli nella soffitta del caseggiato in cui viveva con gli altri famigliari.

                                                                                                                                                                                                                                                R. R.

Bibliografia

  • Camma, Da Pertuso di Ferriere alle carceri di Piacenza, pag. 284, T.E.P., Piacenza 1980.
  • Maria Carella Baio, Le vere origini della Resistenza Piacentina, T.E.P., Piacenza 1976.
  • Gino Pancera, Due stagioni in Val Nure, pag. 10-11, Casa Editrice Vicolo del Pavone, Piacenza 2005.
  • Documenti conservati dai famigliari di Giancarlo Finetti e depositati nell’Archivio storico dell’Anpi di Piacenza, Faldone n. 77,  cartella nominativa.

Documenti collegati