I 45 giorni a Piacenza

Dopo l’arresto, il 25 luglio 1943, di Mussolini, il governo Badoglio decreta la soppressione del PNF ma non la legalizzazione dei partiti antifascisti. Alle autorità militari è affidato il compito di neutralizzare eventuali reazioni fasciste ma anche di impedire ogni azione popolare a favore di un più sostanziale cambiamento.

Per Piacenza il rapporto inviato dal prefetto a Roma dice: “Ondata d’entusiasmo … per tutta la giornata del 26  dimostrazioni antifasciste a carattere popolare … prontamente represse dalle forze di polizia, con il fermo di alcuni più noti per il loro sovversivismo”.

Però nei giorni seguenti il nuovo governo è costretto a lasciare alcuni spazi di libertà per gli antifascisti. Quelli piacentini in carcere o al confino sono rimessi in libertà e l’avvocato Francesco Daveri organizza a Piacenza incontri con colleghi ed amici per promuovere un comune impegno verso la defascistizzazione degli apparati amministrativi locali.

Manifestazioni di gioia per la caduta del regime fascista ma sanguinosa repressione per chi chiede anche la fine della guerra.

Il 25 luglio 1943, destituito e fatto arrestare Mussolini dopo che gli stessi gerarchi fascisti, nel tentativo di sgravarsi delle proprie responsabilità, lo hanno sfiduciato nella riunione del loro Gran Consiglio, il re incarica il maresciallo Pietro Badoglio di costituire un nuovo governo composto da militari e funzionari statali. Questo decreta lo scioglimento del PNF e dalla MVSN (che viene incorporata nell’esercito).  Non sono però legalizzati i partiti antifascisti ed è mantenuto uno stretto controllo sulla stampa.

La caduta del fascismo è accolta dalla popolazione piacentina con manifestazioni di gioia. Si pensa che sia la premessa per l’uscita dell’Italia dalla guerra. Nonostante le violenze di ogni genere che tante persone avevano subito nel ventennio, non vengono compiuti atti di vendetta nei confronti dei fascisti ma, sia a Piacenza che in altri comuni, solo la eliminazione di qualche simbolo del regime. Tuttavia alcuni, fra cui l’antifascista comunista Emilio Molinari di Fiorenzuola, sono fermati e tenuti in prigione almeno per un giorno.

Vittorio Emanuele III e il nuovo governo hanno infatti due ossessioni: che i tedeschi entrino in allarme e che si sviluppi fra le masse un movimento sovversivo, in particolare di segno comunista.  Investono subito le forze militari del compito e dei poteri di impedire ogni astensione dal lavoro nelle fabbriche e ogni assembramento pubblico, anche sparando a vista a chi non ubbidisce immediatamente alle loro intimazioni. E siccome in altre parti d’Italia la richiesta di un mutamento sostanziale e della fine della guerra si esprime in modo più vigoroso, anche con saccheggi di sedi fasciste  e scioperi operai, nei giorni seguenti sotto il piombo delle forze armate cadono 83 cittadini, 320 rimangono feriti e 1614 sono arrestatati. Ne è vittima anche un piacentino e il modo in cui le forze militari sono autorizzate ad agire ce lo offre anche il loro racconto di questo mortale episodio: “A Pianello V.T., a causa di sette civili che non si sono sciolti all’intimazione del vice brigadiere, questi ha esploso due colpi di pistola uccidendo(ne uno) in licenza militare”.

Entrano in campo gli esponenti dei partiti antifascisti

Gli esponenti politici antifascisti – comunisti, socialisti, cattolici della DC  e i liberal-progressisti del Partito d’Azione, ma anche vecchi esponenti liberali – che cominciano a riemergere e ad incontrarsi, costitituendo comitati unitari a Roma e nelle maggiori città, giudicano molto negativamente il governo Badoglio, tuttavia cercano di condizionarlo, promettendo un contenimento dei movimenti di massa a condizione che l’Italia esca quanto prima dalla guerra a fianco della Germania nazista.

Rispetto all’ottusità del re , Badoglio comprende la necessità di tener conto della nuova realtà che si sta esprimendo nel Paese. Verso la metà di agosto vengono quindi segretamente iniziate le trattative con gli Alleati per giungere all’armistizio, al vertice nazionale delle confederazioni sindacali sono riportati dirigenti della passata CGIL e anche migliaia di militanti comunisti, ancora tenuti in carcere o al confino,  vengono liberati, fra cui il piacentino Antonio Carini (ma non gli anarchici).

I comunisti, che anche durante il ventennio fascista avevano mantenuto viva in Italia una rete organizzativa clandestina e che in effetti erano i principali promotori degli scioperi operai, s’impegnano anch’essi per la moderazione. Ma al governo viene chiesto, oltre all’armistizio con gli Alleati, di preparare la difesa dell’Italia dalla prevedibile aggressione  delle forze militari hitleriane.

Nel piacentino è  già in loro mani l’aeroporto di S. Damiano, con la presenza di ben  1.200 militari e 350 civili tedeschi, e nuovi reparti stanno arrivando dalla Germania, come comunica a Roma il questore Pietro Alicò in un rapporto del 6 settembre (qui allegato).

Ma sull’organizzazione della difesa del territorio nazionale il governo ed il vertice militare italiano non s’impegnano; sperano che siano gli Alleati a risolvere il problema.

Incertezze e speranze a Piacenza. Si muove Francesco Daveri

A Piacenza , dopo l’iniziale discesa in piazza dei cittadini, durante i 45 giorni non avvengono mutamenti particolari. I vecchi capi fascisti stanno in disparte ma gli apparati amministrativi del potere sono immutati. Neanche il prefetto ed il questore vengono cambiati.

Non si formano comitati d’azione fra esponenti dei partiti antifascisti.  Anche i militanti comunisti sono stati ridotti dalle persecuzioni fascista a poche unità e riescono solo a far circolare in alcune fabbriche un po’ di stampa del partito che giunge dal centro del Pci che si è costituito a Milano.

Fra l’altro, i funzionari di polizia addetti sotto il passato regime alla caccia dei sovversivi continuano a svolgere quella funzione. In un loro rapporto a Roma del 23 agosto a Roma si legge: “Un (nuovo) gruppo di comunisti affiorati a Piacenza sono oggetto di attenta sorveglianza”.

Le persone a cui veniva fatto riferimento non erano però i tradizionali esponenti comunisti piacentini ma soggetti di più alto ceto sociale: il dott. Giorgio Levi Minzi, di religione ebraica, che era semmai un simpatizzante di Giustizia e Libertà; l’imprenditore di Carpaneto Nereo Trabacchi; il dott. Guido Fresco, un giornalista di origine cremonese collaboratore del quotidiano Libertà risorta in quell’agosto per pochi giorni al posto de “La Scure”; l’avv. Metrodoro (Doro) Lanza, che dei quattro è l’unico che ritroveremo come effettivo esponente del Pci. Quattro persone che evidentemente in qualche incontro avevano manifestate le  loro posizione antifasciste (e saranno poi nel movimento resistenziale). Il rapporto ci dice  dunque che i funzionari di polizia continuavano a tenere sotto controllo gli atteggiamenti  antifascisti e, sulla base della loro esperienza, tendevano a collegarli al partito comunista.

Anche per questo motivo, pure nei vecchi antifascisti  durante i 45 giorni domina l’incertezza, la cautela, unitamente all’attesa dell’uscita dell’Italia dalla guerra.

Particolarmente significativa, e indice di una grande  personalità, è quindi l’attività svolta in queste settimane dell’antifascista cattolico Francesco Daveri. Dopo avere, il 26 luglio, dato fuoco e  gettato dalla finestra della pretura di Bettola un ritratto del duce, comincia a promuovere nel suo studio riunioni di colleghi ed amici per sensibilizzarli a condurre subito una comune azione antifascista. Si reca in delegazione anche dal prefetto Amerigo De Bonis a chiedere la sostituzione nelle cariche pubbliche piacentine degli uomini compromessi con il fascismo, ricevendone risposte evasive.

Diverse delle persone da lui sensibilizzate saranno poi effettivamente attive nella Resistenza.

Nel frattempo, la sera dell’8 settembre arriva l’annucio dell’armistizio dell’Italia con gli Alleati, che però non è la fine della guerra per i piacentini, perché all’alba del giorno dopo si avvicinano a Piacenza le truppe tedesche per assumere il controllo della città e della provincia (9 settembre 1943. La resistenza militare).

R.R.

Bibliografia

  • Autori vari, L’Italia dei quarantacinque giorni, 1943, 25 luglio – 8 settembre, Quaderni de “Il Movimento di Liberazione in Italia, Milano 1969
  • Giuseppe Berti, Linee della Resistenza e Liberazione piacentina – vol. II, Istituto piacentino per la storia della Resistenza, Piacenza 1980.
  • Paolo Belizzi, Quelle che non fanno storia, Vicolo del Pavone, Piacenza 2005.
  • Amerigo Clocchiatti, Cammina frut, Vangelista editore, 1972.
  • Alessandro Forlani, Francesco Daveri (1903-1945) un cristiano per la libertà, Fondazione Cassa di Risparmio di Piacenza e Vigevano, Piacenza 1993.
  • Franco Sprega, Il filo della memoria, Tipleco, Piacenza 1995.

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