La Rsi nel piacentino

 

Alla occupazione tedesca a Piacenza segue la ricostituzione delle organizzazioni fasciste, innanzitutto la federazione del partito e la milizia armata. Il partito, che riscuote limitate adesioni, viene caratterizzato dagli elementi squadristici. Al vertice del potere provinciale sta il Prefetto/ Capo della Provincia.  Alberto Graziani nell’agosto 1944 concentra nelle sue mani, di fascista dal pugno duro, la carica di prefetto, di segretario del partito e di capo della Brigata Nera. Fa poi cacciare due successivi questori perché critici dei comportamenti illegali e violenti delle milizie fasciste. La Rsi si dimostra anche in provincia di Piacenza uno stato fantoccio alle dipendenze delle forze tedesche d’occupazione, impegnata essenzialmente a reprimere, anche nel sangue, ogni resistenza al nazifascismo.

Il ritorno dei fascisti

In una riunione del 10 settembre 1943 fra Hitler, i maggiori gerarchi nazisti e i capi dell’esercito tedesco, viene convenuto che a supporto dell’avvenuta occupazione dell’Italia sia opportuna la ricostituzione del regime fascista. Mussolini viene ritrovato, liberato il 12 settembre dalla prigionia al Gran Sasso e portato in Germania ad un incontro con Hitler. Conosciuta la volontà del Führer, Mussolini annuncia, 1l 17 settembre, da una stazione radio di Monaco di Baviera, il ripristino del fascismo nel territorio italiano sotto controllo germanico. Il nuovo regime viene denominato Repubblica Sociale Italiana, ma è ricordato anche come regime fascista di Salò dalla località sul lago di Garda in cui, dopo la prima riunione del governo fantoccio nell’ambasciata della Germania a Roma, vanno ad insediarsi  Mussolini e alcuni ministri.

Anche a Piacenza gli esponenti fascisti tornati allo scoperto all’indomani dell’occupazione hitleriana, sentite le disposizioni di Mussolini, procedono a ricostituire gli organismi del regime.  Il 21 settembre torna nelle edicole il quotidiano  La Scure che annuncia per il giorno dopo una adunata nella vecchia “Casa Littoria” in Piazza Cittadella. Lì, il già segretario del Fascio Pier Luigi Pansera comunica la costituzione della “Federazione di Piacenza del Partito Fascista Repubblicano” e la rimessa in vita della  83a Legione della  Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (MVSN). Più avanti viene istituito anche il Tribunale Speciale Straordinario per giudicare e punire gli antifascisti; in seguito delle sue formalità si farà a meno.

Ma in una provincia la cui popolazione il 25 luglio aveva salutato con gioia la fine del regime mussoliniano e poi l’armistizio con gli Alleati, e che aveva visto con sgomento l’arrivo dell’esercito tedesco d’occupazione, il ritornato regime fascista, al servizio degli occupanti e per  continuare la guerra contro l’esercito anglo-americano, non può che avere basi sociali molto ristrette,  caratterizzarsi più che mai come sistema di violenza sulla società e sopravvivere sul sostegno dall’apparato di violenza hitleriano.

Il PFR in provincia di Piacenza

Lo stesso ricostituito partito fascista, rispetto alle dimensioni di massa assunte nel passato (oltre 35.000 iscritti e presenza in ogni articolazione della società), riscuote una limitata affiliazione, arrivando a 910 iscritti in città e a 1.500 nel resto della provincia.  Diversi di questi sono peraltro dipendenti pubblici per i quali l’iscrizione al PFR è la condizione per conservare il posto e lo stipendio.  Non manca qualche esponente giovane, e pure giovani donne, conquistati dall’ultima mistificazione  patriottica e sociale (la repubblica sociale) di Mussolini, ma la componente che caratterizza l’azione del partito è costituita da vecchi camerati e da irriducibili e fanatici che vivono la fase nazifascista del fascismo italiano con piena adesione, spirito di vendetta e una vocazione alla violenza che può superare in brutalità quella degli stessi corpi militari nazisti. La violenza viene esercitata particolarmente dai fascisti presenti e alla testa delle diverse milizie armate della Rsi.

Ad evidenziare il carattere forzato e improvvisato del regime fascista di Salò è anche la mancanza di esponenti “adeguati” per i ruoli di direzione, con continui esperimenti, trasferimenti e ricambi. A capo della federazione provinciale del partito Pansera è sostituito dopo due settimane da Carlo Anguissola e questo sostituito a sua volta a fine novembre ’43 da Antonino Maccagni che, catturato nell’agosto ’44 a Caratta di Gossolendo da una squadra di partigiani di Paolo Araldi, è rimpiazzato da Alberto Graziani, già federale fascista a Treviso.

Alla direzione del Comune di Piacenza  la carica di podestà/commissario prefettizio in 18 mesi passa di mano quattro volte: da Carlo Anguissola a Carlo Cappellini, poi ad Angiolo Cappelli e infine a Ernesto Mariani. Anche nei comuni della provincia sono frequenti le dimissioni e ricambi.

La concentrazione del potere nelle mani del prefetto Alberto Graziani

Pure nella più importante carica pubblica provinciale, quella di prefetto, si succedono tre diverse figure, non più di alti funzionari dello Stato ma di dirigenti del partito: l’ex federale di Bari Davide Fossa fino al maggio ’44, poi lo squadrista piacentino della marcia su Roma Mario Piazzesi fino ad agosto, infine il già citato Alberto Graziani, il quale assume congiuntamente la carica di segretario del partito, di comandante della neo costituita Brigata Nera di Piacenza e di Prefetto/Capo della Provincia.

Graziani è il fascista dal pugno duro, che rifiuta di trattare  con i partigiani uno scambio di prigionieri per salvare la vita al suo predecessore Maccagni e che alla morte di questo attua la tipica rappresaglia nazista, dieci contro uno, facendo fucilare dieci persone prelevate dal carcere di Piacenza (gli eccidi nazifascisti).

Giudicando il questore Giacchino Grampini “opportunista e attendista”, Graziani provvede subito a farlo liquidare. Grampini era il capo della tradizionale polizia, ribattezzata “Polizia repubblicana”. Dopo l’8 settembre ’43 era rimasto alla sua direzione il precedente questore Pietro Alicò, che aveva cercato di mantenerne l’operato sul terreno della legalità e lamentava i comportamenti arbitrari nei confronti dei cittadini dell’altro corpo di polizia costituito dalla Rsi, la Guardia Nazionale Repubblicana (GNR) ed in particolare dall’Ufficio Politico Investigativo (UPI) di questa. Nel luglio del ’44 era stato quindi sostituito da Grampini, che proveniva dalla MVSN.

Un questore inviso a Graziani e arrestato dalle SS

Anche il questore Grampini finisce però per denunciare a Graziani che l’UPI “opera arresti con sistemi terroristi”, e che gli arrestati “per strappare loro confessioni, sono sottoposti a interrogatori con brutali vessazioni. Gli urli, i pianti, le imprecazioni sono sentite dal vicinato, apportando ad esso terrore e raccapriccio”. Graziani prende però le parti  dell’UPI e mentre il ministro degli Interni della Rsi, Buffarini Guidi, esita ad accogliere la sua richiesta di rimozione di Grampini, questo il 20 settembre ’44 viene arrestato, evidentemente d’accordo con il prefetto, dal comando delle SS, che poi lo consegna alla GNR la quale lo espelle da Piacenza.

I questo contesto matura la partecipazione di alcuni esponenti della polizia al movimento di Resistenza, sia con l’abbandono del corpo ed il passaggio fra i partigiani, sia soprattutto come informatori nel “Servizio Informazioni Nicoletti” (SIN) della Resistenza piacentina.

Altrettanto rilevante ciò che avviene nella stessa GNR, costituta dall’accorpamento della fascista MVSN con l’Arma dei carabinieri. La maggioranza dei carabinieri diserta  (a fine luglio ’44 i disertori hanno raggiunto il numero di 200, scrive il prefetto Piazzesi in una sua relazione del 15.8.1944) e molti passano nelle formazioni partigiane,  particolarmente in quella al comando di Fausto Cossu, già ufficiale nell’Arma dei carabinieri

Il nuovo esercito del regime di Salò

Per quanto riguarda le strutture dell’esercito, a Piacenza rimane la Direzione d’Artiglieria collegata all’Arsenale militare posto al servizio della guerra hitleriana, e vengono ricostituiti il Comando militare provinciale e il Distretto militare. Vi sono collocati più ufficiali e sottufficiali, un centinaio, che militari di truppa: si tratta cioè di militari di professione che in tal modo si assicurano la continuità dello stipendio. Sono chiamati a partecipare a qualche incursione, sotto comando tedesco, contro i partigiani, ma il loro compito principale è quello di reclutare i giovani di leva fino alla classe 1926 per costituire, secondo quanto hanno disposto Mussolini ed il suo ministro delle Forze Armate Rodolfo Graziani, un nuovo esercito italiano da schierare in guerra a fianco di quello tedesco contro gli Alleati.

In provincia di Piacenza la grande maggioranza dei giovani che ricevano la cartolina precetto si sottraggono all’arruolamento (ben 9.768 entro luglio ’44, secondo la citata relazione del prefetto Piazzesi – vedi i renitenti alla leva della Rsi) e passano in gran numero fra i combattenti partigiani contro tedeschi e fascisti.

Il nuovo esercito di Salò viene alla fine ad essere costituito da sole quattro divisioni (Mussolini ne avrebbe volute 25) addestrate in Germania ed equipaggiate da armi tedesche. A loro ritorno in Italia sono prevalentemente utilizzate contro i partigiani. Nel piacentino particolarmente rilevante è l’impiego della Divisione Alpina Monterosa per riconquistare il controllo della Val Trebbia  e della strada statale fra Genova e Piacenza. Ma anche molti di questi alpini finiscono per passare fra i partigiani; a Bobbio si forma con essi la VII Brigata partigiana GL al comando dell’ex ufficiale alpino Italo Londei.

La perdita del controllo sul 60% del territorio e dell’amministrazione di metà dei Comuni

I diversi corpi armati presenti in provincia di Piacenza non riescono però ad evitare che entro il mese di ottobre 1944 la Rsi perda il controllo  di oltre il 60% del territorio – tutto quello appenninico – e l’amministrazione di metà dei comuni  piacentini. In questi i comandanti partigiani promuovono solitamente la costituzione di organi ammnistrativi rappresentativi delle forze politiche antifasciste e in qualche caso (vedi Bettola partigiana) organi eletti dalla popolazione.

I successi della Resistenza derivano anche dal fatto che mentre i partigiani sono animate dai forti valori di libertà e giustizia e sorretti dalla convinzione che la disfatta della Germania nazista e del regime di Salò sia prossima, fra i militari della Rsi incaricati di presidiare  il territorio e fronteggiare i partigiani serpeggia sempre più l’avvilimento e il senso della sconfitta.

Solo quando, a metà del novembre ’44, arrestandosi per circa tre mesi l’offensiva alleata sulla Linea Gotica, i comandi militari tedeschi possano ritirare dal fronte  la Divisione Turkestan e con i suoi reparti attuare progressivamente nel piacentino un poderoso e avvolgente rastrellamento che colpisce duramente il movimento partigiano, le forze della Rsi recuperano transitoriamente una loro presenza anche nei principali centri del territorio appenninico.

L’ultima fase, la più truce, della RSI a Piacenza

Con il rastrellamento dell’inverno ’44-’45 e le forze della Resistenza disperse fin verso la fine del febbraio ‘45, inizia l’ultima fase del regime di Salò nel piacentino.

Sono sempre più in crisi, anche nel capoluogo provinciale, i servizi dell’amministrazione civile, a partire da quello del razionamento alimentare. Aumentano le privazioni e le sofferenze della popolazione (vedi I piacentini sotto l’occupazione tedesca e la Rsi). Le forze militari hitleriane conducono una spietata azione  contro chiunque abbia loro resistito o sia sospettato di essere loro avversario e i fascisti operano più che mai in simbiosi con queste, sentendosi protetti dalla loro forte presenza. Vanno alla caccia dei sospetti, uomini e donne, consegnano alle SS le persone arrestate (in questa fase ben 1.122 persone sono recluse nel carcere di Piacenza e in caserme , essendo il carcere strapieno), compilano l’elenco delle persone da prelevare dal carcere e da fucilare nelle rappresaglie naziste, altre le portano e fucilano direttamente presso il cimitero di Piacenza.

A febbraio gli Alleati riprendono però l’offensiva sulla Linea Gotica contro l’esercito tedesco e anche i partigiani si riorganizzano e iniziano a cacciare definitivamente i presidi nazi-fascisti dalla parte alta del territorio piacentino, proseguendo poi la propria azione verso la pianura, fino alla liberazione di Piacenza. Nel corso della notte fra il 27 e 28 aprile ‘45  i miliziani fascisti irriducibile e lo stesso loro capo Rodolfo Graziani cercano la salvezza valicando il Po verso la Lombardia.

R. R.

(Immagine tratta dal volume “RSI – La Repubblica del duce 1943 -1945. Una storia illustrata”, di Mimmo Franzinelli, Mondadori, 2007)

Documenti

La relazione del prefetto Piazzesi sulla situazione a fine luglio 1944:

https://www.gracpiacenza.com/situazione_ribelli_agosto_1944.html

Le sedi a Piacenza degli organismi della RSI:

https://resistenzamappe.it/piacenza/pc_rsi

Bibliografia

  • Berti Giuseppe, Linee della Resistenza e Liberazione piacentina – Vol. II – ISREC Piacenza, 1980.
  • Bocca Giorgio, La repubblica di Mussolini, Laterza, 1977
  • Chiapponi Anna, Piacenza nella Lotta di liberazione, Casa Editrice Vicolo del Pavone, 2006
  • Collotti Enzo, La Repubblica Sociale Italiana nel nuovo ordine europeo, in “L’Europa nazista” pag. 407-439, Giunti, 2002
  • Ganapini Luigi, La repubblica delle camicie nere, Garzanti, 2010
  • Oltremonti Caudio, Nelle S.P.I.R.E del regime, Createspace, 2018
  • Osti Guerrazzi Amedeo, Storia della Repubblica sociale italiana, Carocci , 2012