20 – Le Tre Giornate della liberazione di Piacenza

                  5 maggio 1945: celebrazione dell’avvenuta liberazione; arrivo in piazza dei Cavalli della sfilata delle formazioni partigiane

 

All’alba del 26 aprile 1945 Piacenza è circondata dai partigiani delle tre divisioni piacentine, giunti nei pressi del capoluogo dalla quattro vallate della provincia: la Divisione Piacenza composta dalle brigate partigiane della Val trebbia e Val Tidone, la Divisione Val Nure e la Divisione Val d’Arda composte dalle brigate dislocate nelle rispettive vallate. Oltre il Po stanno due brigate lodigiane: la 166° Garibaldi e la VII° del Popolo. In città sono presenti le squadre della 38a brigata SAP.

Dopo due giorni di combattimenti, nella notta fra il 27 e 28 aprile le forze militari tedesche e fasciste di presidio a Piacenza, circa 2.000 uomini, abbandonano la città, cercando rifugio in Lombardia tramite gli esistenti traghetti sul Po. La mattina del 28 le formazioni partigiane prendono possesso della città liberata.

La N.1 Special Force dei servizi inglesi renderà poi omaggio ai ribelli delle montagne piacentine con questa nota: “…nella zona di Piacenza vennero affidati ai partigiani italiani compiti superiori a quelli affidati a qualsiasi altra formazione partigiana di tutta la campagna d’Italia. Per quanto essi non potessero prendere e tenere la città stessa che era centro vitale delle comunicazioni nemiche, essi riuscirono nondimeno ad impegnare un’imponente quantità di forze nemiche…”.

Anche a Piacenza arriva l’ora della liberazione partigiana

Dalla fine di novembre 1944 e fino a febbraio 1945 le forze partigiane piacentine, travolte dal poderoso rastrellamento della Divisione “nazi-mongola” Turkestan affiancata da corpi armati fascisti, vivono la fase più drammatica e sanguinosa della loro storia. Verso la fine di febbraio prende però avvio la loro riorganizzazione sull’Appenino piacentino. A inizio aprile i partigiani, riforniti per la prima volta discretamente di armi, di munizioni e perfino di divise dai lanci aerei degli alleati anglo-americani,  hanno ripreso il controllo dei centri montani e collinari maggiori, fra cui Bobbio, Bettola, e Pianello Val Tidone. Il 9 aprile 1945 riprende  finalmente anche l’offensiva delle forze militari degli Alleati, che in pochi giorni travolgono quelle tedesche. Queste sono costrette ad abbandonare Bologna il 21 aprile, Modena il 23, Reggio Emilia il 24, Parma il 25. Il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia il 25 aprile proclama l’insurrezione nazionale in tutti i territori ancora occupati dalle forze nazifasciste.

Piacenza è l’ultima città capoluogo provinciale dell’Emilia Romagna ancora nelle mani dei tedeschi e dei fascisti. La notte del 23 aprile il maggiore Steve, del Servizio di collegamento britannico, incontra a Ponte dell’Olio lo Stato Maggiore delle forze partigiane piacentine, per concordarne l’attacco alla città già per il 25. I comandi piacentini sono stati però in qualche misura presi di sorpresa dalla rapida avanzata delle forze alleate per cui, su richiesta del comandante della Divisione Val d’Arda Giuseppe Prati, si conviene  di ritardare di un giorno l’offensiva partigiana su Piacenza, provvedendo però a portare le formazioni a ridosso della città entro il 25 aprile.

Il dispositivo difensivo tedesco-fascista

L’alto comando tedesco aveva infatti disposto che i resti Xa e XIVa armate del Wehrmacht, incalzati dalle forze alleate, si ritirassero al di là del fiume Po in Lombardia tramite i 4 traghetti che erano stati attivati sul fiume, in sostituzione del ponte stradale e di quello ferroviario bombardati e resi inservibili dagli Alleati. A protezione di questo transito erano stati predisposti intorno al perimetro della città dei caposaldi difensivi “elastici”, su tre linee a semicerchio fra Sant’Antonio e Montale.  Capisaldi elastici perché i militari impegnati nella difesa di Piacenza prima di essere sopraffatti dovevano sganciarsi dal nemico e attestarsi sulla posizione più arretrata, allo scopo di ritardare il più possibile l’avanzata dei partigiani e degli Alleati e consentire alle forze tedesche di ritirarsi oltre il Po.

Alla difesa predisposta dai tedeschi, oltre a truppe germaniche e ai “mongoli” della 162° Turkestan, prendono parte i battaglioni Debica e Vendetta della 29° Divisione Waffen SS italiane, i componenti della 28a Brigata Nera “Pippo Astorri”,  la 630a  compagnia della GNR, oltre a elementi raccogliticci delle brigate nere di Lucca, Turchetti di Mantova, Leonessa di Brescia,  della X Mas e Legione Muti di Milano. Circa 2.000 uomini che dispongono di qualche carro medio, qualche carro leggero M 21 italiano e qualche autoblinda. Oltre a pezzi di artiglieria e alle micidiali mitragliatrici da venti millimetri, che i partigiani chiamavano le seghe di Hitler.

La dislocazione delle formazioni partigiane attorno alla città

Le formazioni partigiane, che dalle quattro vallate appenniniche piacentine iniziano la loro marcia verso Piacenza all’alba del 25 aprile, sono composte in grande maggioranza  da giovani e da quasi ragazzi e  costituiscono un esercito pittoresco e variopinto dalle decine di differenti uniformi. Nel tragitto verso il capoluogo provinciale espugnano gli ultimi presidi rimasti ancora nelle mani della Rsi:  Fiorenzuola, Pontenure, Castel S. Giovanni, S. Nicolò, Vigolzone, Podenzano. I primi scontri a fuoco di assaggio per la conquista della città, con le prime vittime, si verificarono nella serata de 25 aprile lungo i binari ferroviari della stazione di San Nicolò.

Il comando partigiano provinciale ha disposto che le brigate della Divisione Piacenza investano la città da ovest (da S. Nicolò e da Gossolengo), quelle della Divisione Val Nure da sud (da San Bonico e da La Verza),  mentre le brigate della val d’Arda dovevano puntare su Piacenza da San Giorgio-Mucinasso e da Pontenure-Via Emilia Parmense.

Il 26 aprile hanno inizio le tre giornate della liberazione di Piacenza. Si preannuncia uno scontro fra le retroguardie dell’esercito tedesco in ritirata e i partigiani, alle cui spalle sono in arrivo dalla via Emilia Parmense le avanguardie dell’esercito alleato. Lo scontro è sanguinoso. I partigiani nella presa di possesso di Piacenza, che precede l’arrivo degli Alleati, conteranno alla fine una quarantina di caduti, i fascisti un numero superiore, anche diversi soldati tedeschi e qualcuno fra gli Alleati.

I combattimenti del 26 aprile

La battaglia per la città si spezzetta in decine di scontri a fuoco e cannoneggiamenti. Da via Manfredi calano sulla città i reparti della val Nure e dalla Divisione Piacenza, sparando con armi leggere e qualche panzerfaust (granate anticarro), fin quasi a Barriera Genova, ma qui sono raggiunti alle spalle da un’autoblinda tedesca che, rafficando furiosamente, uccide sei partigiani.

Sulla via Emilia Pavese un blindato con a bordo militari tedeschi, “mongoli” e della Rsi, in rientro a Piacenza, scorti a S. Antonio partigiani a fianco della strada, si ferma e gli occupanti fanno segnali di resa. Si fa avanti Nando Fraschini “Giacopasso” ma si prende una raffica  alle gambe e cade disteso in mezzo alla strada. Gli altri partigiani cercano di mettersi in salvo ma tre di essi sono colpiti a morte

Fra i partigiani della Val d’Arda arrivati alla periferia di Piacenza da Mucinasso, due, che si erano spinti più avanti, vengono catturati dai militari tedeschi a piazzale Veleia e fucilati sul posto.

I combattimenti più accesi si registrarono a Montale perché, prevedendo l’arrivo dei reparti alleati da Parma lungo la via Emilia, la linea difensiva tedesca tenuta da SS italiane e da soldati della Rsi, è rafforzata con artiglieria e presenza di carri. Ma qui, a dare manforte ai partigiani arrivano appunto quattro carri medi Sherman della 93° divisione americana i cui reparti  qualche ora prima, cioè alle 9,30, erano arrivati in territorio piacentino e ad Alseno avevano avuto il primo, storico incontro con i partigiani piacentini, quelli della 62° brigata della Val d’Arda.

Gli Sherman aprendosi a ventaglio e avanzando su Montale hanno ragione dei nidi di mitragliatrice e dei carri che li fronteggiano. I militari fascisti si ritirarono precipitosamente seguiti dai partigiani fino a ridosso della città.

La rotta dell’esercito tedesco e i transiti sul Po fra Caorso e Villanova.

I reparti della divisione americana erano già arrivati nei pressi di Piacenza perché la ritirata dei tedeschi lungo la via Emilia parmense si era trasformata  in una rotta disperata e quell’esercito, modello di ordine e disciplina, sotto la poderosa offensiva delle forze alleate era andato a pezzi lasciando lungo la strada carcasse di camion e  di auto bruciate, cavalli morti, cassette di munizioni e zaini abbandonati. I fuggiaschi, assiepati su camion, autoblinde, carri armati, carriaggi trainati da cavalli, o a piedi, giunti nel territorio piacentino puntano ad arrivare ai più presto ai traghetti sul Po senza transitare a Piacenza.  Dalla via Emilia girano verso Cortemaggiore già liberata dai partigiani, la rioccupano e muovono verso i traghetti della Bassa, da Caorso a Villanova, inseguiti dai carri armati alleati e martoriati costantemente da caccia Spitfire che sfrecciano a bassa quota mitragliando le colonne in ritirata fino ai punti d’imbarco sul Po. C’è chi tenta di attraversare il fiume con ogni mezzo  e vi affoga.

A Piacenza i fascisti si vedono perduti. Proseguono gli attacchi partigiani

Già il giorno 26 Piacenza è una città spettrale. Nessuno degli abitanti osa mettere il naso fuori dalla porta.   Il prefetto, capo del PFR e della Brigata Nera, Alberto Graziani, il comandante della GNR, Cesare Falla Garetta, e i vari capi fascisti si radunarono a palazzo Farnese per concordare il da farsi; attorno a loro si raggruppano i militi fascisti increduli per quanto sta accadendo. Decidono fra l’altro di eliminare i 170  antifascisti chiusi nelle carceri della città, ma alcuni ufficiali della Wehrmacht assumono la protezione dei carcerati, per assicurarsi  benemerenze dai comandi partigiani ai fini della propria salvezza. Rabbiosi, i fascisti fanno comunque cadere sul carcere dei colpi di mortaio, fortunatamente senza vittime. Tutti i 170 verranno liberati all’arrivo dei partigiani.

I combattimenti proseguono il pomeriggio del 26 fra barriera Roma, dove sono collocate postazioni di mitragliatrici tedesche, via Emila Parmense e via Colombo dove si erano attestate le forze partigiane e qualche  squadra di soldati americani e brasiliani. Nel corso di questi combattimenti una cannonata di un pezzo controcarro americano centra il piedistallo del monumento della Lupa che si schianta al suolo. In serata i combattimenti proseguono anche in via Emilia pavese fra i partigiani e postazione di mitragliatrici tedesche a barriera Torino.

La giornata del 27 aprile. La ritirata dei militari tedeschi e la fuga dei capi fascisti

La notte del 26 i  capi partigiani si radunano alla periferia della città, discutendo animatamente e anche litigando per i troppi caduti e i troppi azzardi della giornata. Per il giorno successivo si stabilisce di essere più cauti.

Il 27 è messo in atto soltanto, dai partigiani dell’VIII brigata della Divisione Piacenza al comando di Nico Rancati, un tentativo di attacco all’Arsenale, che fallisce a causa dell’accanita resistenza tedesca. Ma brevi scontri si verificarono anche in altri punti della città con alcuni caduti.

Nel pomeriggio del 27 la città diviene ancor più spettrale per l’intesa pioggia che cade. In giro si vedono solo poche pattuglie con blindati che ogni tanto sparano dei colpi per fare sentire ai partigiani  che Piacenza è ancora in mani nazifasciste.

Le Squadre di Azione Patriottica, che all’interno della città vigilano per impedire ai tedeschi di minare gli impianti industriali prima della loro ritirata, nella notte del 27 avvisano le formazioni partigiane che i nazifascisti hanno abbandonato Piacenza. Il prefetto fascista Graziani lo aveva già fatto il giorno prima. Gli ultimi gruppi armati della Rsi e altri capi del regime avevano traghettato il Po a Calendasco dopo aver fatto saltare per aria sulla sponda emiliana gli ultimi carri armati nelle loro disponibilità.

Il 28 aprile, Piacenza liberata

Cessata nella notte la pioggia, l’alba del 28 aprile vede Piacenza irradiata dal sole. Dai comandi partigiani si era previsto e ordinato l’ingresso in città alle ore 13 ma, saputo della fuga delle forze militari tedesche e fasciste, i partigiani si riversarono  nella prima mattinata verso il centro da Barriera Torino, Barriera Genova e via Roma.

La 93° divisione americana era già proseguita in direzione di Torino, lambendo solo la città. In Piacenza, con i partigiani entra e rimane un reparto  brasiliano e il personale militare inglese incaricato di sovrintendere per i  primi mesi all’amministrazione della provincia.

La popolazione accoglie i liberatori riversandosi in piazza Cavalli, portando fiori e bottiglie di vino. Una vera e propria folla. Ma da tetti, torri e abbaini gli ultimi fanatici fascisti che non avevano voluto ritirarsi con i camerati aprono il fuoco sui partigiani. Vi sono alcune altre vittime. Nella città, che aveva preso un aspetto di festa, ritorna in un lampo un’atmosfera da guerriglia urbana. Borghesi chiusi in casa e partigiani in giro con mitra e fucili fuori di sicura. L’azione per stanare i cecchini prosegue per l’intera giornata e la notte fino al 29 aprile: per questi irriducibili nemici non c’è misericordia, cadono in combattimento o se catturati sono subito fucilati.

Intanto nel palazzo della prefettura s’insedia il CLN provinciale e nomina, in capo a noti esponenti antifascisti,  le nuove autorità civili di Piacenza.

Il 5 maggio la grande sfilata della vittoria per le vie della città e i discorsi celebrativi nella Piazza dei Cavalli, con i  partigiani ancora in armi e tutti piacentini attorno a festeggiarli. Poi la riconsegna delle armi in Piazza Cittadella.

                                                                                                                                                                                                                                        E. M.

Fonte bibliografiche:

  • Ermanno Mariani, Piacenza Liberata, Edizioni Parallelo 45, Piacenza 2016 (Il presente testo è stato tratto fondamentalmente da questa opera, in calce alla quale sono indicate le fonti bibliografiche, documentarie e testimoniali utilizzate).
  • Ennio Concarotti, Piacenza 40-45, il dramma di una città, Casa editrice Humanitas, 1984.
  • Giuseppe Prati, La Resistenza in Val d’Arda, Casa Editrice Vicolo del Pavone, Piacenza 1994
  • Anna Chiapponi, Piacenza nella lotta di Liberazione, Casa Editrice Vicolo del Pavone, Piacenza 2006.
  • Giulio Cattivelli, La guerra di Cat, a cura di S. Pareti, Pontegobbo, 2012.