La sua morte al Passo dei Guselli assieme ad altri 25 partigiani saliti da Morfasso per fermare l’arrivo in Val d’Arda dei nazi-“mongoli” provenienti da Bettola, la foto a Bettola fra quattro giovani partigiani, come loro in giubbino militare e armata di sten, e il nome “Tigrona” che aveva assunto, hanno fatto di Luisa Calzetta, nella memoria della Resistenza Piacentina, la figura femminile più nota, una partigiana combattente mitica.
Non è l’unica donna che abbia perso la vita nel movimento di Liberazione in provincia di Piacenza ma quella che aveva scelto di affiancare gli uomini direttamente nella lotta armata ai nazifascisti, e con una determinazione ed un coraggio che era di esempio e di traino per gli uomini.
Tuttavia, sulla vita partigiana di Luisa Calzetta gli elementi di conoscenza sono frammentari, salvo che per l’episodio della morte. Questi frammenti sono stati qui composti per fissare il percorso di Luisa nella Resistenza.
Da New York al comune parmense di Compiano
Luisa Calzetta nasce a New York il 19 ottobre 1919 da genitori italiani; il padre Elio è originario del comune parmense di Compiano in Val Taro, la madre Santina Lupi proviene dal comune piacentino di Cortebrugnatella in alta Val Trebbia. La famiglia Calzetta rientra in Italia nel 1928, nel paese del padre, Isola di Compiano. Luisa frequenta le scuole magistrali e la sua vita appare indirizzata alla professione di maestra elementare.
Arriva però la guerra e l’occupazione tedesca. Il padre, deceduto quando lei aveva solo 10 anni, le aveva già trasmesso un sentimento antifascista. Così, dopo l’8 settembre 1943 la sua casa diventa un punto di riferimento e aiuto per soldati italiani sbandati e militari stranieri ex prigionieri ricercati per l’internamento in Germania. Questa attività non passa inosservata e Luisa viene a sapere che i fascisti si apprestano ad arrestarla. Si rifugia allora nel Piacentino presso i nonni materni, che abitano appunto nel comune di Cortebrugnatella, nel paesino di Lupi, parrocchia di Ozzola.
In Val Trebbia nella Banda Gaspare
In quella stessa parrocchia, nella frazione di Sanguineto, si è rifugiato un ex ufficiale sloveno, Gaspar Çavernik, che, con alcuni giovani locali renitenti all’arruolamento della Rsi, costituisce un gruppo di attivi resistenti. Nel territorio piacentino i primi successi della lotta partigiana contro le forze militari nazifasciste sono di questo gruppo, fra cui il clamoroso disarmo notturno del grosso presidio Dicat di Bobbio, con grande bottino di armi. Luisa Calzetta la troviamo subito fra questi partigiani.
A Cerignale, dove la Banda Gaspare pone la sua base, Luisa svolge la funzione di vivandiera e di “crocerossina” in aiuto al medico Carlo Tagliani che da Bobbio sale su quando c’è da curare un ferito. Compiti tradizionali che anche nelle formazioni partigiane si tendono ad assegnare alle donne, ma Luisa ha intanto l’occasione di apprendere le modalità più efficaci della lotta partigiana perché il Çavernik è un maestro nella organizzazione di agguati e attacchi improvvisi alle forze nazifasciste: a fine giugno 1944 sono custoditi a Cerignale 40 militari nemici catturati, di cui 15 tedeschi; tre ufficiali, di cui due tedeschi, sono stati invece fucilati.
Un tale numero di prigionieri catturati e numerose armi e automezzi sottratti alle forze nazifasciste sono accertate il 2 luglio dal famoso comandante partigiano ligure “Bisagno” (Aldo Gastaldi), intervenuto con gli uomini della Brigata “Cichero” a sciogliere di forza la Banda Gaspare perché i suoi capi ne rifiutavano l’integrazione nell’organizzazione generale dei partigiani.
In Val Nure e alla liberazione di Bettola con la Brigata Garibaldi “Caio”
Della sessantina di componenti la Banda Gaspare una parte passa alla “Cichero”, Luisa Calzetta e altri si trasferiscono in Val Nure ed entrano nella 59a Brigata Garibaldi “Caio” al comando di Ernesto Poldrugo “Istriano”, brigata che comprende anche alcuni partigiani parmensi e che si era già distinta per la liberazione, il 20 maggio ’44, di un primo comune piacentino, quello di Ferriere, a cui aveva fatto seguito, il 26 giugno, quello di Farini dopo due giorni di cruento combattimento.
Nella Caio anche Luisa può diventare una partigiana combattente, ricevendo in consegna uno degli sten giunti da un lancio aereo alleato. Non l’abbandonerà fino alla morte: anche in una foto fra un gruppo di donne contadine la si vede con l’arma imbracciata.
A Bettola, a fine luglio, con la “Caio” Luisa è partecipe di uno dei più significativi successi partigiani di quell’estate, la liberazione di quel capoluogo della Val Nure, in cui si insediano sia il CLN provinciale che il Comando provinciale dei partigiani in capo ad Emilio Canzi. Con Istriano entra però in urto Mili¢ Dusan “Montenegrino”, il comandante dell’altra brigata presente in Val Nure, la “Stella Rossa”. Istriano, che da Ferriere aveva già portato un attacco al presidio fascista di S. Stefano d’Aveto, trasferisce allora la sua formazione nella ligure-piacentina Val d’Aveto. Rimangono però in Val Nure i residenti locali fra cui Antonio Guglieri “Grillo”, comandante del distaccamento di cui Luisa fa parte. Rimane cosi anche lei.
Con la Brigata “Mazzini” Tigrona a capo di una squadra di partigiani
A seguito dei crescenti arrivi fra i partigiani, in Val Nure, accanto a quella del Montenegrino si costituisce una nuova brigata affidata al comando di Giuseppe Panni, già allievo ufficiale, che le fa assumere il nome di Brigata “Mazzini”. Grillo ne diventa comandante di battaglione e pone Luisa Calzetta a capo di una squadra.
Ora Luisa è chiamata “Tigrona”, quale partigiana coraggiosa e sempre pronta ad affrontare le forze fasciste e naziste. Ha qualche anno in più e un grado d’istruzione superiore alla media dei suoi compagni, il che la rende autorevole nei loro confronti.
Con la “Mazzini”, fra settembre e novembre 1944, è protagonista della fase massima di espansione del controllo partigiano sul territorio piacentino. Il 31 agosto militari della Rsi e hitleriani tentano la riconquista di Bettola, salendo da Piacenza con una autoblindo e altri due semoventi, ma sono respinti dai partigiani nel combattimento all’altezza della frazione di Biana: Tigrona è a fianco di Grillo nella postazione della mitragliatrice che dal torrione di Montesanto ha, fra l’altro, colpito e immobilizzato uno dei semoventi. Fra i successi partigiani maggiori di questo periodo vi è la liberazione di Ponte dell’Olio, con la resa il 5 di ottobre del forte presidio militare della Rsi dopo quattro giorni di assedio e di combattimenti da parte della “Mazzini” e della “Stella Rossa”.
Presente anche ad affrontare i nazi-“mongoli”
La determinazione di Luisa Calzetta “Tigrona” nella lotta ai nazifascisti è però soprattutto evidenziata dal suo comportamento nel corso della poderosa e sanguinosa offensiva antipartigiana della divisione tedesca Turkestan, composta anche da soldati asiatici, i cosiddetti “mongoli”.
I partigiani della Val Trebbia e Val Tidone sbaragliati a fine novembre ’44 dai battaglioni della Turkestan cercano rifugio in Val Nure, in particolare tramite la strada che da Perino sale in direzione di Bettola, inseguiti dai turkestani. Il comandante Canzi dispone che si cerchi di fermare questi nemici prima del Passo del Cerro, da dove la strada scende verso Bettola. In realtà non sono molti i partigiani che accorrono al Cerro perché ritengono che andrebbero solo incontro alla morte visto che i turkestani, con la loro potenza di fuoco, risultano inarrestabili. Tigrona e la sua squadra sono fra quelli che accorrono e contribuiscono ad un combattimento che riesce invece a bloccare a fare arretrare i nazi-mongoli prima del passo. E’ il 2 dicembre 1944.
Un reparto della Turchestan è però arrivato nel frattempo in Val Nure sull’itinerario Bobbio-Coli- Pradovera e giunge alle spalle dei partigiani schierati presso il Passo del Cerro. A questo punto fra questi è il panico. Ci si ritira disordinatamente in cerca di salvezza. O verso l’alto territorio di Ferriere, dove si dirige lo stesso comandante della “Mazzini”, Panni. O verso la Val d’Arda e da lì, attraverso il Passo del Pelizzone, in direzione di Bardi e dell’Appennino Parmense.
Dalla Val d’Arda erano arrivati in aiuto al Cerro, su due autocarri, gli uomini del distaccamento “Gusano” della 142a Brigata Garibaldi. Questi si ritirano invece ordinatamente. Luisa Calzetta va con loro. Scendono a Bettola, prendono la strada di Parto Barbieri che conduce in Val d’Arda e si posizionano all’altezza del Preventorio per bloccare il passaggio in Val d’Arda dei nazi-mongoli che nel frattempo hanno preso possesso di Bettola. E’ il 3 dicembre. Li raggiunge il comandante della Divisione Val d’Arda, Giuseppe Prati, e avverte che la situazione dei partigiani appare disperata, che con Canzi sì e convenuto di abbandonare anche la Val d’Arda e di sciogliere le brigate.
La morte ai Guselli, il 4 dicembre 1944
Anche i partigiani del distaccamento “Gusano” con i loro due automezzi il pomeriggio del 3 si avviano quindi verso il Pelizzone. Luisa è sempre con loro. La mattina del 4, il comandante Prati, che si trova a Morfasso, vede però tornare indietro su due automezzi una cinquantina di partigiani: hanno saputo che i turkestani, provati dagli ultimi combattimenti, si sono fermati a Bettola e loro vogliono tornare sulla strada di Prato Barbieri per respingerli nel caso provino a passare in Val d’Arda. Con quel gruppo di coraggiosi c’è naturalmente Tigrona. Decidono di raggiungere Prato Barbieri salendo ai Guselli.
Nel frattempo è però arrivato in quella zona un reparto di turkestani, pare per rastrellare beni alimentari e tornare poi a Bettola. Sentono arrivare degli automezzi, si appostano fra le case dei Guselli e quando arrivano i due autocarri pieni di partigiani li investono con le raffiche dei loro potenti fucili mitragliatori. E’ una carneficina. Qualcuno dei partigiani, in particolare fra chi sta nel cassone dell’autocarro su cui è salita Luisa, riesce a buttarsi fuori strada e a fuggire. Lei è nella cabina con l’autista e altri cinque compagni; faticano anche ad uscirne perché una portiera è bloccata. Appena a terra Luisa è colpita a morte. Con lei altri 25 coraggiosi partigiani quel 4 dicembre 1944 lasciano la loro vita ai Guselli; ne seguiranno la sorte altri 8 catturati dai nazi-mongoli in quell’agguato.
L’Italia libera e democratica, con un atto del Presidente della Repubblica, conferirà alla memoria di Luisa Calzetta la Medaglia d’Argento al Valor Militare.
R. R.
Bibliografia e fonti
- Giuseppe Panni, La Brigata Mazzini e la Brigata Inzani in Val Nure e in Val d’Arda – pagg. 105-109, T.E.P., Piacenza 1978
- Giuseppe Berti, Linee della Resistenza e Liberazione Piacentina – vol. II, pag. 360, Isrec, Piacenza 1980
- Camma, Da Pertuso di Ferriere alle carceri di Piacenza – pagg. 81, 463, 468, T.E.P.,Piacenza 1980
- Giuseppe Prati, Figli di Nessuno. Vita delle formazioni partigiane della Val d’Arda, pagg. 122, 232, 238; T.E.P. , Piacenza 1980
- Gino Pancera, Due stagioni in Val Nure, pag. 99, Vicolo del Pavone, Piacenza 2005
- Il comandante Istriano e la Brigata di manovra Caio / Lo sloveno Gaspare e la sua banda in alta Val Trebbia, in “Comandanti partigiani giunti da lontano” di G. L. Cavanna e R. Repetti, Pontegobbo, 2018.
- Sentieri della libertà, pag. 37, Editoriale Libertà S.p.A., Piacenza 2023
- https://www.viaggiatoriignoranti.it/2024/01/luisa-calzetta-la-coraggiosa-partigiana-uccisa-in-un-agguato-nazifascista.htlm
- https://resistenzamappe.it/regione/montagna/guselli_di_morfasso_val_d_arda