Maria Macellari, nata a Bobbio il 18 marzo 1922 da Angelo e da Maria Ragalli, abitazione presso il ponte di S. Martino, Medaglia d’Argento al V.M. partigiano. Come il padre, manovale e bracciante, già da ragazzina si era adattata a diversi lavori, bracciante, domestica, mondina. La ricorda così Mario Diodati, genovese, commissario politico della brigata partigiana di cui lei faceva parte: “Venne sui monti nell’agosto del ’44; era una ragazza bruna, piuttosto grassottella, con un viso tondo e colorito in cui brillavano occhi neri e vivaci. Anni 23, gioia di vivere unita ad una certa pensosa serietà venuta dall’esperienza di una vita in condizioni difficili. Fin dai primi giorni s’impose per la sua volontà, il suo spirito di sacrificio, la sua bontà”. E un compagno di brigata di Maria, il giovane Stefano Porcu, tre anni meno di lei: “Si chiamava Carma. Era dolcissima ed era per me una madre, una sorella, una amica, una compagna. Io avrei dato la vita per lei, e lei per me. L’hanno presa i fascisti. L’hanno torturata ed uccisa. Non se ne è più trovata neppure il corpo”.
L’ingresso nella Brigata partigiana “Caio”
Molti aspetti della vita partigiana della bobbiese Maria Macellari non sono conosciuti, in particolare il luogo, le circostanze e gli autori del suo assassinio. Qui cerchiamo di ricostruirli o almeno ipotizzarli sulla base delle fonti reperibili.
Si sa che Maria ha fatto parte di una gloriosa formazione, la Brigata Garibaldi di manovra “Caio” che aveva quale comandante Ernesto Poldrugo “Istriano”. Una brigata che dopo aver liberato dalle forze nazifasciste la Val Nure da Ferriere a Bettola, ha accettato di trasferirsi in Val d’Aveto per cacciarne anche da quella vallata i presidi militari. Formata da partigiani parmensi, liguri e piacentini, conta, oltre a Maria, altri quattro bobbiesi, fra cui il medico Carlo Tagliani che si era unito ai partigiani dopo esser tornato vivo dalla sciagurata campagna di Russia. Si sa che Maria si è inserita nella brigata Caio al momento dell’arrivo di questa in Val d’Aveto, verso la fine dell’agosto ’44. Il “ruolino” della formazione le riconosce però un’anzianità partigiana dal 29 marzo di quell’anno, spiegabile probabilmente con il fatto che il padre era originario del comune di Cortebrugnatella, il cui capoluogo, Marsaglia, è posto all’inizio della Val d’Aveto. Proprio in quel comune nell’inverno ‘43-’44 era sorta una delle prime bande partigiane del piacentino attorno alla figura dello sloveno Gaspar Çavernik, a cui si erano uniti anche alcuni giovani bobbiesi. Banda poi confluita nella brigata Caio. Così come aveva aderito alla banda Gaspare un’altra futura martire della Resistenza, Luisa Calzetta, che soggiornava presso la sorella, moglie di un agricoltore di Cortebrugnatella, anche Maria può essere entrata in rapporto e collaborazione con questi primi partigiani mentre si trovava in quel comune presso i parenti paterni.
Di aiuto ed incoraggiamento ai partigiani in difficoltà
Con gli uomini della Caio, Maria Macellari vive subito le vicissitudini conseguenti al rastrellamento della Divisione alpina Monterosa i cui reparti, addestrati in Germania, sono stati inviati a riconquistare il controllo della Val Trebbia e della Val d’Aveto. I partigiani d’Istriano, appena arrivati in Val d’Aveto, inferiori per numero ed armamento, devono allontanarsi. Si spostano in Val Trebbia, ascendono la Val Boreca verso il monte Alfeo e scendono nel versante ligure, rifugiandosi provvisoriamente nella zona di Carrega.
In quella lunga ed estenuate marcia di tre giorni sotto la pioggia, i suoi compagni cominciano ad apprezzare le qualità ed il contributo di Maria. Si offre subito per scendere sulla Statale 45 a controllare e segnalare l’arrivo di automezzi nemici al ponte che i partigiani debbono attraversare verso la Val Boreca. Si fa carico di portare lei l’equipaggiamento di un ferito, lo incoraggia e lo sorregge nel cammino. Giunti, stremati e bagnati, ad un casone di montagna, tutti si buttano a terra; Maria invece raccoglie sterpi e fa un bel fuoco . A Carrega è lei a preoccuparsi che ci sia qualcosa da mangiare per tutti, che ripara i vestiti strappati. I più giovani come Stefano Porcu trovano in lei il conforto e la sicurezza che manca loro lontani da casa.
Sulla zona di Carrega si eleva il monte Carmo e questo suggerisce ai compagni di Maria il dolce nome partigiano con cui d’allora in poi sarà chiamata e ricordata: “Carma”.
A S. Stefano d’Aveto, infermiera e staffetta
Vero la fine di settembre (1944) i partigiani della Caio ritornano e prendono il controllo della Val d’Aveto, con combattimenti, caduti e feriti. Istriano insedia il comando a Santo Stefano e “il dottor Pino” (Carlo Tagliani) vi organizza una infermeria. Carma collabora con lui per la cura dei feriti, ma fa anche la vivandiera e i partigiani si rivolgono a lei per ogni cosa: premurosa e instancabile è d’incoraggiamento per tutti. Inoltre come donna che può circolare suscitando meno sospetti, si presta come staffetta: è lei che porta in dicembre un messaggio urgente al comando partigiano della VI Zona ligure, camminando ore ed ore nella neve alta che le procura un congelamento alle ginocchia.
Nell’ottobre e novembre di quell’anno c’era stati giorni tranquilli anche fra i partigiani della Caio, pareva che le forze tedesche e fasciste stessero per essere sgominate con l’arrivo degli Alleati, c’erano feste padronali e si ballava. Allora Maria si manifestava in tutta la sua vitalità di giovane ragazza, allegra, scatenata nel ballo, afferrava e tirava dentro anche i giovani contadini che restavano timidi ai lati del ballabile.
Il drammatico rastrellamento della Turkestan
Iniziato il 23 novembre ’44 in Val Tidone, il poderoso e sanguinoso rastrellamento invernale organizzato direttamente dal comando dell’esercito hitleriano in Italia, investe la Val d’Aveto alla fine di dicembre. I soldati nemici spuntano questa volta da ogni direzione e i “mongoli” della Divisione Turkestan sono inviati a perlustrare ogni paese di montagna. L’imperativo per i partigiani è di mettersi in salvo ovunque possibile. La Brigata Caio si divide: Istriano porta in salvo un distaccamento sull’Appennino parmense, gli altri affrontano un disperato cammino su sentieri di montagna di cui a volte perdono la traccia perché la neve ha coperto tutto. Per più giorni, nel freddo intenso, senza mangiare, fino a giungere nell’alta Val Brevenna dell’Appenino Ligure. C’è chi non ce la fa, chi cerca un qualche rifugio lungo il percorso, chi si sbanda.
Si è scritto che alla partenza da S. Stefano o all’attraversamento della Val Trebbia, sia stato affidata a Maria una missione da compiere scendendo verso Piacenza, forse di reperire nelle farmacie a valle medicinali indispensabili al dottor Pino per curare i partigiani feriti e ammalati. Ma possibile anche che in quella drammatica situazione Maria sia stata convinta dai compagni di mettersi in salvo tornando temporaneamente dai suoi famigliari a Bobbio, lei donna che poteva forse ancora circolare senza destare particolari sospetti. Ma Maria era ben conosciuta a Marsaglia oltre che a Bobbio, e non mancavano fascisti a cui faceva rabbia che anche una donna fosse diventata partigiana, fascisti pronti in incognito a segnalarla per la cattura.
La cattura di Maria e la sua eliminazione
Sta di fatto che Maria dai suoi famigliari a Bobbio non è mai arrivata e che ai partigiani tornati ad insediarsi a S. Stefano d’Aveto giunge poi la voce che probabilmente era stata catturata e fucilata. Istriano fa allora chiedere notizie di lei dal parroco di S. Stefano alla curia vescovile di Bobbio, sapendo che questa poteva attivare dei contatti. La risposta giunta è che Maria era finita in mani tedesche e che queste l’avevano destinata al loro campo di concentramento di transito a Bolzano, ma che era stata poi uccisa, si riteneva durante il transito sul ponte poggiato su barche di attraversamento del Po verso Cremona.
I fascisti dando questa informazione confermavano l’assassinio di Maria Macellari, ma nello stesso tempo intendevano allontanare da sé ogni responsabilità. In genere però erano proprio loro che, se non fucilavano direttamente i partigiani e gli antifascisti catturati, li consegnavano alle SS naziste che, nella propria sede di Piacenza in via Cavour n. 64 disponevano di celle di custodia. Qui li interrogavano anche con ricorso alla violenza, poi ne decidevano la destinazione, che poteva anche essere quella di un lager in Germania, previo transito al campo di Bolzano, al fine di sfruttarne le energie nei lavori forzati, fino alla morte per sfinimento. In quel terribile inizio del 1945, altri venti partigiani finiti in mani tedesche sono scomparsi da Piacenza senza che se ne sia più saputo nulla ne rintracciato il corpo. Probabilmente eliminati allo stesso modo.
Il conferimento della Medaglia d’Argento V.M.
I partigiani della “Caio” furono infine protagonisti della liberazione anche della città di Genova e parteciparono festanti alla sfilata della vittoria, ma forte rimase in loro il ricordo di Carma e la riconoscenza nei suoi confronti. La proposero per la più alta e rara onorificenza assegnata ai più gloriosi esponenti dei corpi militari: la Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria.
Si tratta di una onorificenza che ha un lungo percorso istruttorio: esame di una commissione di alti esponenti militari, deliberazione del Governo, la firma del Presidente della Repubblica. Possiamo immaginare l’atteggiamento dei componenti la commissione: la Medaglia d’Oro al V.M. ad una donna che ha perso si la vita per la causa della libertà ma che probabilmente non ha sparato nemmeno un colpo contro i nemici! La pratica viene accantonata e, dopo nuove sollecitazioni di chi non aveva dimenticato Carma, ripresa a dieci anni di distanza con l’assegnazione della Medaglia d’Argento, una onorificenza di grande significato.
Sulla pergamena che accompagna la medaglia consegnata ai famigliari è indicata quale data della morte di Maria il 10 marzo 1945, che può essere assunta come quella effettiva. La motivazione della onorificenza alla memoria di Maria Macellari si conclude con le parole: ”Bellissima figura di patriota e di Italiana”.
G.F. R – R. R.
Bibliografia e fonti
- Noi Donne, Edizione per la Liguria, Anno I – N. 8, Genova 14 luglio 1945, testimonianza su “Carma” (di Mario Diodati)
- L’Unità, Edizione di Genova , 30.11.1947, testimonianza su “Carma”.
- Libertà, Quotidiano di Piacenza, 13.4.1958
- Michele Tosi, La repubblica di Bobbio, Archivi stori bobbiensi, 1977
- Stefano Porcu, Nonno, chi erano i partigiani?, De Ferrari Editore, Genova 2001
- Io sono l’ultimo – Lettere di partigiani italiani”, AA.VV., Einaudi , Torino 2012
- Il comandante Istriano e la Brigata di manovra Caio / Lo sloveno Gaspare e la sua banda in alta Val Trebbia, in “Comandante partigiani giunti da lontano”, di G. L. Cavanna e R. Repetti, Pontegobbo, 2018