L’otto settembre 1943 oltre 600 militari stranieri, in gran parte ufficiali, catturati durante la guerra, si trovano in quattro centri d’internamento nel piacentino. L’armistizio con gli Alleati prevede che siano restituiti ai loro Paesi. Il 9 settembre quasi tutti abbandonano quelle strutture prima che ai militari italiani di custodia subentrino quelli tedeschi. Questi però si mettono subito alla loro ricerca. Ad evitare la cattura ed il trasferimento in Germania di molti quegli ex nemici sono le famiglie contadine del territorio montano: li accolgono, li nascondono, gli danno da mangiare, li forniscono di nuovi abiti. Diversi di essi riescono poi a rientrare nei loro Paesi – soprattutto quelli inglesi attraverso la Svizzera – tramite la rete organizzativa messa in campo dagli antifascisti, sui quali si abbatte però una dura repressione nazista.
I militari stranieri catturati e internati nel piacentino
Nella prima fase della Seconda guerra mondiale anche l’esercito italiano aveva fatto dei prigionieri, soprattutto in Nord Africa con il contributo delle truppe tedesche di Rommel. Alla data dell’armistizio italiano con gli Alleati si trovano in Italia, distribuiti fra una settantina di campi di internamento, 79.543 militari stranieri prigionieri.
In provincia di Piacenza sono in atto quattro centri di detenzione, prevalentemente destinati agli ufficiali: il P.G. n.17, nel Castello di Rezzanello, con circa 200 greci parte dei quali civili deportati in Italia; il P.G. n.26, nel Convento francescano di Cortemaggiore, con più di 200 prigionieri, in prevalenza jugoslavi; il P.G. n.29, nella sede estiva a Veano del Collegio Alberoni, con 263 britannici e del Commonwealth fra i quali molti ufficiali superiori; inoltre un centro di assistenza ospedaliera nel Collegio Morigi di Piacenza, con diversi prigionieri feriti o ammalati (dal mese di maggio era invece senza prigionieri il PG 41 nel castello di Montalbo).
Una clausola dell’armistizio prescrive la restituzione ai loro Paesi dei militari prigionieri in Italia, ma al suo annuncio segue immediatamente l’occupazione tedesca dell’Italia e lo sbando dell’esercito italiano con l’abbandono anche della vigilanza dei campi di detenzione. Agli italiani si sostituiscono però i militari tedeschi che hanno in programma il trasferimento dei prigionieri in Germania. Nel piacentino riescono a farlo subito solo al Collegio Morigi, mentre nelle altre strutture vi è un breve intermezzo che rende possibile l’evasione dei prigionieri.
L’aiuto della popolazione per sottrarli alla cattura da parte tedesca
I militari tedeschi si mettono subito alla caccia degli evasi e questi vedono quindi alquanto problematica la propria libertà: non conoscono il territorio, non parlano la lingua locale, sono facilmente riconoscibili dalle loro vecchie divise e pensano che la popolazione li consideri ancora dei nemici e ne favorisca la cattura.
Invece, sorprendendo gli stessi ex prigionieri, si sviluppa nei loro confronti una grande solidarietà da parte della popolazione. Sono ospitati nelle case, sfamati, dotati possibilmente di abiti civili, forniti di nascondigli, informati dei movimenti delle pattuglie tedesche che sono alla loro caccia. Questo aiuto, assieme a quello prestato ai soldati italiani sfuggiti alla cattura tedesca, è la prima significativa forma in cui si manifesta una ampia resistenza popolare contro gli occupanti hitleriani ed il rinato fascismo di Salò, nonché la più netta sconfessione della guerra voluta da Mussolini contro le nazioni da cui provengono quei prigionieri.
Una rete organizzativa degli antifascisti per il rimpatrio degli ufficiali britannici
I prigionieri sfuggiti da Veano trovano inizialmente rifugio nel territorio della media e alta Val Nure. Non c’è centro abitato fra quelli più discosti dalle vie di comunicazione che nell’ottobre 1943 non custodisca il suo gruppo d’inglesi. Sono le famiglie contadine che soprattutto si fanno carico della sopravvivenza e della sicurezza di questi stranieri.
Dal mese di ottobre, con la nascita del CLN provinciale, gli antifascisti ad esso collegati provvedono a portarne in salvo quanti più possibile. La via principale è quella del loro trasferimento clandestino in Svizzera, utilizzando la rete di assistenza messa a punto dal comitato militare del CLN milanese in accordo con le autorità svizzere e con il SOE inglese. Gli ex prigionieri, debitamente travestiti, devono essere accompagnati in piccoli gruppi a Milano e poi da lì a particolari posti di frontiera. Fra altri – quali Giuseppe Narducci , Livio Sormani, Piero Cella – svolge il pericoloso compito di accompagnatore Cesare Baio, studente ventiduenne la cui famiglia – il padre Francesco e la madre Maria Carella – aveva fatto della propria casa a Bettola un centro di smistamento e di sostegno per i primi ribelli piacentini e per questi ex prigionieri.
Un altro studente, Luigi Broglio, accompagna un capitano nel lungo cammino a piedi per raggiungere l’esercito inglese aldilà del fronte. Altri prigionieri attraverso la Val d’Aveto arrivano in Liguria e poi, aiutati dai partigiani locali, con una barca in Corsica.
Si scatena la repressione delle autorità nazi-fasciste
Con il rafforzarsi della presenza militare tedesca a Piacenza e la ricostituzione delle milizie fasciste la caccia agli ex prigionieri si intensifica e consegue dei successi. Le autorità nazi-fasciste promuovono la delazione offrendo una taglia per ogni militare straniero di cui sia favorita la cattura e, con appositi bandi minacciano il carcere, la deportazione e la morte a chi dia aiuto agli ex prigionieri.
Nel gennaio 1944 sono arrestati Sormani e Maria Carella, il marito ed il figlio di questa subiscono la deportazione in Germania dove Cesare perderà la vita. Anche Luigi Broglio quando torna al Nord viene catturato e fucilato. Aiutare gli ex prigionieri diventa sempre più pericoloso. Cessa l’accompagnamento in Svizzera, ma non il sostegno, soprattutto delle famiglie contadine, ai militari rifugiati nei paesini di montagna.
I prigionieri greci e jugoslavi
Anche la maggioranza dei greci presenti nel castello di Rezzanello il 9 settembre torna in libertà disperdendosi nella parte alta della Val Luretta e Val trebbia, anch’essi ospitati da famiglie contadine. Un gruppo ad esempio trascorse i mesi dell’inverno 43-‘44 nel paesino di Canale sul versante bobbiese di Monte Lazzaro. A Rezzanello i militari tedeschi arrivano solo il 13 settembre, tanto poca importanza danno ai prigionieri greci. Ve ne sono lì ancora una sessantina, in parte ammalati. Li portano a Piacenza e li spediscono in Germania, dove, a quanto risulta, subiscono, a differenza dei prigionieri inglesi, un trattamento ben diverso da quello previsto dagli accordi internazionali, destinati come sono a lager di annientamento.
Quanto ai prigionieri prigionieri nel convento di Cortemaggiore, il 9 settembre la maggior parte intraprende la lunga e incerta via del ritorno in Slovenia e Croazia, altri cercano rifugio nei paesi dell’alta Va d’Arda, dove sono, anche lì, sfamati e protetti dalle famiglie locali.
Da prigionieri a partigiani
La presenza nel territorio piacentino di oltre 600 militari di paesi stranieri in qualità di prigionieri, tornati liberi dopo l’8 settembre ma che le forze militari tedesche cercano di ricatturare per trasferirli come loro prigionieri in Germania e l’aiuto che questi ex nemici ricevono invece dagli antifascisti e dagli abitanti delle vallate piacentini, ha una rilevante conseguenza per la Resistenza in provincia di Piacenza. Perché almeno una settantina di loro rimangono e si trasformano da prigionieri in partigiani, inseriti nelle formazioni piacentine, ma ancor più perché lo fanno alcuni di quegli ufficiali già prigionieri. Questi infatti, per la loro esperienza militare, diventano gli aggregatori e i capi delle prima bande partigiane piacentine (e due di essi anche comandanti di brigata). Si tratta di Gasper Camernik “Gaspare”, Jovan Grcavaz “Giovanni Lo Slavo”, Milic Dusan “Montenegrino”, Arcibald Donald Mackenzie “Capitano Mack”, Andreas Spanoyannis “Il Greco”.
Bibliografia
- L.Cavanna/R.Repetti, Comandanti partigiani giunti da lontano, Pontegobbo, 2018.
- Romano Repetti, La rete di solidarietà dei piacentini – Sfamati e protetti circa 600 tra ufficiali, sottufficiali e soldati, in “Pagine della Resistenza piacentina” a c. di M.V. Gazzola, Editoriale Libertà, Piacenza 2015.
- David Vannucci, I campi per prigionieri di guerra nel territorio piacentino durante la seconda guerra mondiale, TIP.LE.CO., Piacenza 2018.
- David Vannucci, Memorie di prigionia dal campo p.g.17 di Rezzanello, TIP.LE.CO., Piacenza 2022.
(La foto è tratta dal volume “Memorie di prigionia…” cit.). M.P – R. R