La destinazione ordinaria dei partigiani e degli antifascisti piacentini finiti in mani naziste, o per cattura militare o per arresto dalla Sicherheitsdienst, la Polizia di Sicurezza tedesca o per consegna da parte fascista, è quella della deportazione in un campo di concentramento germanico. Non perché i nazisti siano restii a metterli a morte direttamente, tanto è vero che anche nel Piacentino non esitano a procedere in via breve alla fucilazione di partigiani catturati, o a prelevare dal carcere persone da utilizzare per la messa in atto di rappresaglie terroristiche. La deportazione in un lager come destinazione principale dei catturati ed arrestati è rivolta a sfruttarne fino alla morte le energie nel lavoro schiavistico.
I deportati piacentini in lager nazisti
I deportati classificati Politisch (politico) o Schutz (pericoloso) sono destinati a Konzentrationslager che, quandanche non forniti di camera a gas per lo sterminio in massa, sono comunque lager di annientamento. Chi vi è destinato dall’Italia viene prima condotto in un campo di transito dove sosta per il tempo necessario all’arrivo del numero necessario di prigionieri per riempire un convoglio ferroviario di carri bestiame da inoltrare verso il Brennero. I successi della lotta partigiana e l’avvicinarsi degli Alleati all’Emilia Romagna costringono, nell’agosto 1944, le S.S. ad abbandonare quello di Fossoli in provincia di Modena e ad aprire un campo di concentramento e di transito a Bolzano. Più avanti, dalla metà di febbraio ’45, in conseguenza dei danni inferti dai bombardamenti alleati alla rete ferroviaria, anche da lì diventa impossibile attuare trasporti in treno. Così, 82 piacentini, fra cui due donne, restano nel campo di Bolzano e dopo la resa della Germania possono tornare vivi a casa, anche se deperiti e qualcuno con la salute minata.
Per i mesi che vanno dal luglio ’44 al febbraio ‘45 è documentata la deportazione dalla provincia di Piacenza di 81 partigiani o attivi antifascisti in lager di annientamento . Per quasi la metà la destinazione è quella del lager di Mauthausen, nell’Austria incorporata nel Terzo Reicht tedesco; seguono i lager di Flossenbürg e Dachau; in altri cinque campi finiscono uno o due deportati.
I deportati senza ritorno
I partigiani e antifascisti piacentini la cui vita è stroncata in un lager nazista sono 37, dei quali 24 in quello di Mauthausen e suoi sottocampi. Altri sopravvivono generalmente solo perché due o tre mesi dopo il loro internamento sono stati liberati a seguito del collasso della Germania nazista o per l’arrivo al loro campo degli eserciti alleati.
Fra i deceduti, a Mauthausen-Gusen, un componente del CLN Piacentino, Francesco Daveri, e l’anziano agricoltore (60 anni) e amministratore del Comune di Caorso Fulco Marchesi. Fra i ritornati vivi il medico Gaetano Lecce, dal lager di Auschwitz, e la giovane Medarda (Medina) Barbattini, da quello di Rawensbrück.
Non è richiamata qui la persecuzione fascista e nazista e la deportazione delle persone di origine ebraica, ma vogliamo almeno ricordarne una vittima: Benedetta (Tina) Pesaro di Castel S. Giovanni, deportata ad Auschwitz e soppressa il 31 dicembre 1944; aveva 31 anni.
Luigi Razza, il più giovane
Il più giovane partigiano piacentino la cui vita viene spenta in un lager nazista è Luigi Razza di Borgonovo Val Tidone. Il suo calvario, con la cattura tedesca, inizia quando non ha ancora compiuto 19 anni.
E’ nato il 13 dicembre 1925. Il padre, Giuseppe, fa il carrettiere, la madre, Fortunata Marchioni, la perde quando ha solo 6 anni. Risposatosi il padre, Luigi cresce con un’altra mamma, Delfina Losi, e poi con una sorellina nata dal nuovo matrimonio, Maria Razza. Delfina, nata nel 1893 è una fervente socialista: dopo la Prima guerra mondiale si era attivamente impegnata nella Lega Braccianti di Borgonovo e per questo era stata poi perseguitata dai fascisti, tanto da dover emigrare e vivere per alcuni anni in Francia. E’ lei in particolare a trasmettere a Luigi forti sentimenti antifascisti e valori di libertà e giustizia.
Luigi lascia presto la scuola per andare a lavorare prima come falegname da un parente e poi come apprendista meccanico nell’azienda Bubba di Santimento, vicino a Rottofreno, che produce trebbiatrici e trattori agricoli. Lì frequenta anche un corso per diventare operaio specializzato.
Renitente alla leva militare fascista e partigiano
Le autorità fasciste della Rsi alla fine del 1943 gli inviano la carolina precetto per l’arruolamento. Luigi non si presenta; inizialmente non si fa trovare a casa dai militi della GNR intenti alla caccia dei renitenti e quando, verso la fine della primavera del ’44, comincia ad organizzarsi il movimento partigiano di Resistenza, raggiunge in alta Val Tidone la “Banda Parmigiani”, al comando del borgonovese Pietro Chiappini (vedi Borgonovo partigiana)
Ha raccontato la sorella Maria: “Ricordo quando venivano a casa mia i militi fascisti di Piacenza, mandati da quelli di Borgonovo, per cercare mio fratello. Una notte che Luigi era in casa sono arrivati improvvisamente, ma mio papà prima di aprire la porta lo aveva fatto scappare dai tetti e così si è salvato. Sono arrivati poi un sabato mattina quelli di Borgonovo. Il capo, indicando il suo fucile, ha detto alla mamma che se il figlio non si fosse presentato in caserma erano pronte le pallottole anche per i genitori”.
La cattura da parte dei militari della Turkestan hitleriana
Luigi Razza partecipa ad azioni della “Parmigiani” e quando questa, all’inizio dell’agosto ‘44 è sciolta e assorbita dalla Divisione Giustizia e Libertà al comando dall’ex tenente dei carabinieri Fausto Cossu, passa nella II Brigata “Mario Busconi” di questa.
Durante l’estate e l’autunno del ’44, il movimento partigiano ha un forte sviluppo e in Val Tidone e assume il controllo del territorio di Pecorara, Piozzano, Nibbiano e Pianello, cacciandone i presidi fascisti. Allora i comandi tedeschi, anche approfittando di un rallentamento delle operazioni militari degli Alleati, annunciato con il Proclama Alexander del 13 novembre, inviano in provincia di Piacenza i battaglioni della 162a Divisione Turkestan per un massiccio rastrellamento.
Il 23 novembre del ’44 Luigi Razza, insieme al compagno Luigi Carella, è inviato dal suo comandante di brigata in missione a Borgonovo per controllare i movimenti delle truppe tedesche. Un reparto di soldati e però già arrivato in paese, avvistano i due partigiani nei pressi della Rocca e sparano per ucciderli o catturali. Carella è ferito ad una gamba ma riesce a trascinarsi nel fossato della Rocca e a nascondersi. Luigi fugge verso l’edificio delle scuole ma è bloccato da raffiche di mitra e catturato.
La deportazione e la morte
Buttato sul cassone di un camion militare tedesco che attraversa Borgonovo, Luigi è riconosciuto da alcuni abitanti che vanno ad avvisare il padre, inizialmente incredulo perché convinto che il figlio si trovi invece a Pecorara. Il giovane partigiano è portato in carcere a Piacenza e poi trasferito a Parma dove stà l’Assunkommando interprovinciale della polizia tedesca competente a decidere il suo destino. La decisione è quella della deportazione in un lager di annientamento . Il padre Giuseppe in bicicletta fa tre volte la spola in pieno inverno tra Borgonovo e il carcere di Parma, ma non glielo fanno vedere. L’ultima volta viene informato che il figlio è stato trasferito a Verona. Poi i familiari non ne hanno più notizia.
Dal carcere di Verona Luigi è portato nel campo di smistamento di Bolzano e il 1° febbraio 1945 stipato nel vagone di un treno con destinazione Mauthausen. E’ l’inizio del suo martirio.
Finita la guerra i genitori e la sorella ne attendono invano il ritorno, sempre più angosciati, anche perché via via si vengono a conoscere le inumane condizioni di vita nei lager nazisti. Solo nel 1967 riceveranno un documento della Croce Rossa Internazionale, in lingua francese, che indica l’ingresso di Luigi Razza nel Campo di concentramento di Mauthausen il 4 febbraio 1945 con numero di matricola 126.382, il suo trasferimento il 15 marzo al sottocampo di Gusen e la morte il 21 aprile 1945.
La sopravvivenza nell’inferno dei lager nazisti di annientamento era appunto mediamente fra i due e i tre mesi.
I.M. – R.R.
Bibliografia
- Romano Repetti, Due donne protagoniste dell’opposizione al fascismo, in Studi Piacentini n. 42 Dicembre 2012
- Rinchiudere un sogno – Da Piacenza ai lager nazisti – Il libro dei deportati politici, a c. di Carla Antonini, saggi di C. Antonini e B. Spazzapan, Isrec Piacenza / Edizioni Scritture, 2017
- Ivano Marchioni, Ho scelto la dignità – Luigi Razza partigiano, Tipolitografia Costa, Borgonovo V.T. (PC) 2024