Storia della Resistenza piacentina – Sintesi cronologica

DAL 25 LUGLIO ALL’8 SETTEMBRE 1943

Destituito ed arrestato Mussolini, il nuovo governo Badoglio decreta lo scioglimento del Partito fascista. Entusiasmo popolare anche a Piacenza. Nei 45 giorni successivi (I 45 giorni a Piacenza) si aprono alcuni spiragli d’iniziativa per gli antifascisti. Vengono gradualmente liberati i carcerati e confinati per motivi politici  (I vecchi antifascisti). L’avvocato Francesco Daveri (1903-1945), antifascista cattolico, organizza incontri con amici e colleghi per la costituzione di un comitato rivolto fra l’altro a promuovere la defascistizzazione degli apparati pubblici piacentini.

SETTEMBRE 1943

L’occupazione tedesca, la ricostituzione del regime fascista, i primi gruppi di    resistenti.

L’8 settembre, dopo l’annuncio dell’armistizio contratto dal governo Badoglio con gli Alleati anglo americani, l’esercito della Germania nazista, già presente in Italia, vi invia nuove Divisioni e procede all’occupazione del Paese. Le forze armate italiane non hanno ricevuto da Roma un preciso ordine di far fronte agli invasori e così rimangono in balia di questi. La mattina del 9 reparti tedeschi si avvicinano da ovest anche a Piacenza per assumere il controllo della città e della provincia, ma qui i reparti italiani di stanza nella città oppongono resistenza (9 Settembre 1943. La Resistenza militare)e prima della resa perdono la vita in combattimento 30 militari, 44 restano mutilati o feriti. Anche fra la popolazione civile 5 caduti e 5 feriti (L'occupazione tedesca a Piacenza).

Gli occupanti hitleriani catturano i militari italiani e li avviano all’internamento in Germania. Gli IMI piacentini. Danno la caccia anche ai soldati ed ufficiali inglesi, jugoslavi e greci, sfuggiti il 9 settembre dai rispettivi tre campi di prigionia dislocati in provincia di Piacenza. Parte dei militari italiani e degli ex prigionieri stranieri riescono a sottrarsi alla cattura anche con l’aiuto della popolazione piacentina che fornisce loro abiti civili e nascondigli e di quello dei primi esponenti della resistenza che li instradano ed accompagnano per il passaggio della linea del fronte o il trasferimento clandestino in Svizzera (famiglia Baio).

Come richiesto da Hitler, Mussolini promuove la ricostituzione del regime fascista, denominandola Repubblica sociale italiana (RSI), uno stato fantoccio al servizio e agli ordini delle autorità tedesche, comunemente ricordato quale “regime fascista di Salò” dalla località sul lago di Garda in cui s’installò Mussolini. Anche a Piacenza tornano quindi alla luce gli esponenti fascisti e s’insediano, con la protezione delle autorità tedesche, alla direzione dei diversi organismi pubblici locali (la Rsi nel piacentino” show=”la Rsi nel piacentino”]). Sui muri appaiono i bandi delle nuove autorità naziste e fasciste, con imposizioni e minacce per i cittadini.

Anche gli antifascisti piacentini cominciano però ad organizzarsi, raccogliendo l’appello “alla resistenza e alla lotta” lanciato dal Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) costituito clandestinamente a Roma dai partiti politici antifascisti.

Da Piacenza, persone note come antifascisti e già perseguitate dal regime fascista e altri che si erano manifestate tali durante i 45 giorni, dopo l’occupazione tedesca si rifugiano in alta Val Nure; una parte convergono poi nella piccola frazione di Peli in comune di Coli, dove possono contare sulla ospitalità e collaborazione del giovane parroco don Giovanni Bruschi. Da Fiorenzuola e dalla Val d’Arda alcuni altri si rifugiano nella parmense zona di Bardi. Si vanno cosi formando piccoli nuclei di antifascisti orientati alla resistenza (gli antifascisti dopo l’8 settembre).

Il 29 settembre, su iniziativa del Partito comunista, viene clandestinamente costituito a Milano un Comitato Militare incaricato di organizzare nell’Italia occupata delle formazioni “garibaldine” di partigiani (Brigate Garibaldi).  Fra i 9 componenti del primo Comando Generale delle Brigate Garibaldi vi è il piacentino Antonio Carini. Vengono ripresi i contatti con i vecchi esponenti comunisti noti delle diverse province invitandoli a promuovere il movimento di resistenza.

OTTOBRE – DICEMBRE 1943

Si costituisce il CLN piacentino. Le nuove  forze armate della Rsi e i renitenti al reclutamento.

A circa un mese di distanza dall’occupazione tedesca gli antifascisti dei diversi orientamenti politici costituiscono segretamente il CLN piacentino. Entrano a farvi parte Daveri per la Democrazia Cristina, Paolo Belizzi per il Partito comunista, il medico Mario Minoia per il Partito socialista (sarà più avanti sostituito da Giuseppe Arata), Raffaele Cantù per il Partito d’Azione e, quale esperto militare, Emilio Canzi, vecchio libertario e combattente antifascista sottoposto al confino dal regime fascista.  I quattro sono parte di un più ampio gruppo di persone attive nell’organizzazione della Resistenza. Vengono raccolte armi abbandonate dai soldati italiani il 9 settembre e fatte pervenire ai primi gruppi di resistenti che si vanno formando in montagna  con il concorso anche di ex prigionieri stranieri sfuggiti alla cattura (da prigionieri a partigiani). Gli uomini del CLN scelgono Peli come loro base di riferimento.

Da parte fascista, quale strumento fondamentale per la repressione degli oppositori  e la caccia ai “ribelli”, viene costituita la Guardia Nazionale Repubblicana, accorpando i miliziani di partito della MVSN con i carabinieri, molti dei quali però mal sopportano tale collocazione e la suddetta funzione (la GNR nel piacentino). Mussolini e i gerarchi fascisti vogliono inoltre dotarsi di un nuovo esercito con cui tornare ad affiancare la Germania nella guerra contro gli Alleati, richiamando in servizio gli ex militari sfuggiti all’internamento in Germania, facendo proselitismo fra gli stessi IMI e reclutando nuove leve di soldati. Rifiutano la quasi totalità degli Imi, per quanto allettati con la prospettiva del ritorno In Italia, e gran parte dei richiamati – ex soldati ed ex ufficiali – e dei giovani precettati (i renitenti) Ci si sottrae al reclutamento stando nascosti,  abbandonando la propria abitazione, trovando rifugio presso altri e andando a vivere in altre località. Nei comuni collinari e montani la sottrazione all’arruolamento della Rsi è quasi generale.

Da Piacenza e da altri comuni della pianura alcuni dei renitenti cominciano anche a prendere la via della montagna e ad aggregarsi ai primi gruppi di antifascisti che vi si stanno organizzando. E questi giovani inizialmente estranei alle idee degli antifascisti,  vivendo con essi in contatto maturano una nuova consapevolezza. Saranno proprio questi giovani a dare consistenza al movimento di Resistenza e a costituire infine la massa delle formazioni partigiane.

GENNAIO – APRILE 1944

La GNR alla caccia degli antifascisti e dei renitenti

Mentre la popolazione subisce le conseguenze della occupazione tedesca e del proseguimento della guerra – perquisizioni, controlli sui movimenti delle persone, scarsezza di cibo, di combustibili  e di altri beni primari, più avanti anche allarmi aerei e bombardamenti con conseguenti sfollamenti dalla città – (la popolazione sotto l’occupazione tedesca e la Rsi), le ricostituite forze armate fasciste, con l’aiuto di quelle tedesche, danno la caccia agli antifascisti e ai renitenti al reclutamento per la Rsi.

Don Bruschi già verso la fine del novembre ’43 non si era sentito più sicuro a Peli, aveva lasciato la parrocchia e si era rifugiato in incognito a Piacenza; all’inizio del ’44 espatria clandestinamente in Svizzera da dove però ai primi di ottobre tornerà fra i partigiani piacentini e ne diventerà il Cappellano Generale.

I fascisti erano infatti venuti a conoscenza del gruppo di ribelli presenti a Peli e la GNR in dicembre via aveva attuato una incursione. Vi era stato sorpreso e arrestato Lorenzo Marzani, ma non trovate armi, che erano state nascoste sopra il cornicione della chiesa. Gli altri antifascisti si erano già allontanati.

Emilio Canzi però il 14 febbraio  ’44 è individuato mentre torna a Piacenza da una riunione a Parma  e incarcerato.

Vengono meno anche altri due membri del CLN, Daveri e Cantù, che, processati e condannati per vilipendio di Mussolini, riescono a sfuggire alla carcerazione con l’espatrio clandestino in Svizzera all’inizio di marzo.  Daveri tornerà però in Italia nel movimento partigiano, ma sarà catturato nel novembre ‘44  a Milano e lascerà la sua vita nel lager nazista di Mauthausen.

Fino all’inizio dell’estate, quando il CLN sarà ricomposto con nuove figure, agiranno a suo nome essenzialmente esponenti del partito comunista.

Per la cattura dei renitenti la GNR compie spedizioni e rastrellamenti da Piacenza anche nei comuni della provincia e ciò provoca i primi atti di resistenza anche armata, i primi scontri e le prime vittime. Fra i resistenti la prima vittima, già il 28 ottobre del ’43, è stata  Giancarlo Finetti di S. Giorgio Piacentino, ucciso a Bettola dalla polizia tedesca mentre cercava di sottrarsi alla cattura.

A Vernasca, il 30 dicembre ’43, una  pattuglia della GNR era stata circondata dagli abitanti armati di forconi e i militi li respinsero sparando e ferendo tre persone.

Il 24 gennaio del ’44, presso la frazione di Vidiano di Piozzano,  un pullman con 15 appartenenti alla Gnr, inviati per dare la caccia ai renitenti della zona, è investito da scariche di fucili, in gran parte da caccia, di una trentina di residenti locali. Due agenti rimangono uccisi e altri feriti. Giunge allora nella vallata un più grosso reparto militare che non riesce a catturare i giovani di leva e arresta  in cambio una ventina di capifamiglia e tre parroci, detenuti  poi nel carcere di Piacenza per alcune settimane (l’agguato di Vidiano).

Nascono le prime bande partigiane

Gli antifascisti e i ribelli  alla leva della RSI cominciano dunque a far ricorso alle armi per fronteggiare le forze  nazifasciste alla loro caccia. Quando poi, il 18 febbraio, le autorità militari della RSI emanano un provvedimento che prevede la pena di morte per chi non si presenta al reclutamento e, l’11 marzo, tre giovani appena catturati vengo fucilati a Chiulano di Vigolzone (eccidio di Chiulano), i renitenti affluiscono più numerosi nel territorio montano e con il loro concorso si costituiscono le prime vere e proprie formazioni partigiane. A capo di questi si mettono anche ex ufficiali stranieri prigionieri rimasti nel territorio piacentino.

In alta Val D’Arda nasce, con centro nella frazione di Vezzolacca, in comune di Vernasca la formazione con a capo lo sloveno Jovan Grcavaz, noto come Giovanni lo Slavo. Intanto, nel comune di Morfasso, attorno a due ex ufficiali locali, Giuseppe Prati e Pietro Inzani, si costituiscono altri due gruppi. Verso la fine di aprile il CLN, al momento imperniato sulla componente comunista, promuove l’aggregazione dei tre gruppi in una unica formazione e ne designa comandante l’ex capitano dell’esercito Vladimiro Bersani, avvocato residente a Lugagnano Val d’Arda, ma con un ufficio anche a Piacenza, dove era entrato in contatto con il comunista Giuseppe Narducci “Pippotto”, collegato al CLN.

In alta Val Nure, con rifugio nelle baracche dei carbonai sul Monte Nero al confine con la provincia di Parma,  si organizza, con l’apporto di esponenti parmensi, la formazione di Ernesto Poldrugo, noto come Istriano. Nella media Val Nure, dove pure si erano formati piccoli gruppi di resistenti, questi vengono aggregati  in una unica formazione  sotto il comando dell’ex ufficiale Milic Dusan, detto il Montenegrino, che Narducci era andato a reperire in un gruppo partigiano dell’Appennino parmense.

In Alta Val Trebbia, con sede a Cerignale, si forma un gruppo di ribelli al comando dello sloveno Gaspare Çavernik.  Questa banda compie diversi colpi di mano contro automezzi che transitano sulla strada Statale 45 di fondovalle e il 4 giugno si riforniranno di armi entrando all’alba di sorpresa in una caserma militare di Bobbio.

In alta Val Tidone nasce la banda Piccoli al comando del vecchio antifascista e comunista fiorenzuolano Giovanni Molinari , quella al comando del maestro borgonovese Pietro Chiappini e la Banda del Greco al comando dell’ex sottoufficiale  greco Andreas Spanoyannis.

Determinante però per il successivo sviluppo del movimento partigiano in Val Tidone e Val Trebbia è l’arrivo nella piccola frazione di La Sanese, posta quasi sul crinale delle due vallate, del già ufficiale dei carabinieri Fausto Cossu,  noto come Fausto, di origine sarda. Il suo primo impegno è di indurre altri carabinieri inquadrati nella GNR a fare la sua stessa scelta: abbandonare il servizio per la RSI e passare dalla parte dei ribelli combattenti contro gli occupanti tedeschi e i fascisti.  Riesce a costituire una  Compagnia Carabinieri Patrioti attorno alla quale si aggregheranno già all’inizio dell’estate ’44 un centinaio di altri partigiani. Inoltre Fausto provvederà, anche con atti di forza – cruento quello contro il Molinari e altri tre suoi uomini – a sciogliere le altre tre formazioni della Val Tidone e ad assorbirne nella propria gran parte dei componenti.

L’adesione alle suddette formazioni partigiane, insediate nel territorio montano e collinare della provincia di Piacenza, sia dei giovani renitenti che degli ex militari sfuggiti alla cattura tedesca, compresi diversi ufficiali, residenti in quel territorio, agevola il rapporto dei partigiani con la popolazione locale, l’ospitalità ed il sostentamento alimentare.

Da aggiungere che nei maggiori complessi industriali piacentini dove anche nel ventennio del regime mussoliniano si era mantenuto vivo e trasmesso fra gli operai l’orientamento antifascista, questo si sviluppò anche in termini organizzativi sotto l’occupazione tedesca e la RSI. All’Arsenale militare nel dicembre ’43 e nella Industria Massarenti a fine febbraio ’44 vengono messe in atto vertenze ed agitazioni, per bloccare le quali intervengono direttamente le autorità militari tedesche. Successivamente diversi lavoratori della Massarenti passeranno fra i partigiani e quelli dell’Arsenale ne favoriranno il prelievo di armi dal loro stabilimento.

MAGGIO – LUGLIO 1944

Primi comuni liberati dalla presenza dei presidi militari nazifascisti

L’obiettivo fondamentale dei raggruppamenti di resistenti insediati nel territorio appenninico, dopo quello della propria difesa dalle incursioni delle forze nazifasciste e quindi del reperimento di armi e munizioni, verso la fine della primavera ’44 diventa quello di scacciare i presidi militari e le autorità fasciste dai diversi comuni. Ciò avviene tramite l’attacco armato a tali presidi, con combattimenti che generalmente si concludono con la resa dei militari della RSI, i quali dopo il loro disarmo di solito vengono lasciati liberi.

In Val d’Arda  la banda di Giovanni lo Slavo già il 24 febbraio aveva attaccato la caserma  di Luneto, presidio militare per il comune parmense di Bore e per quello piacentino di Vernasca. L’obiettivo a quella data era solo l’asportazione delle armi e di altri beni utili ai partigiani. I militi della GNR avevano retto l’attacco, ma nei giorni seguenti avevano abbandonato quell’isolata località e si erano insediati a Vernasca.

Nella vallata data al 21 di maggio la liberazione del primo comune, quello di Morfasso, con la fuga del presidio fascista attaccato dai partigiani unificati sotto il comando di Vladimiro Bersani.

Il giorno prima, 20 maggio, era stato liberato il capoluogo di Ferriere in alta Val Nure, ad opera della formazione di Istriano. Questa un mese dopo, fra il 25 e il 26 giugno, sostiene un sanguinoso combattimento nel capoluogo di Farini d’Olmo (battaglia di Farini) in cui perdono la vita due partigiani e sette rimangono feriti, fra cui una donna. Alla fine i militi della RSI sono costretti a ritirarsi a Bettola ed il controllo anche del comune di Farini è assunto dai partigiani.

In Val Tidone i primi comuni liberati, fra giugno e inizio luglio, sono quelli di Pecorara e di Piozzano. In Val Trebbia, oltre a Cerignale, i fascisti perdono in giugno il controllo di Coli, ma la perdita di maggior rilievo e risonanza è quella di Bobbio – dove era di stanza anche una squadra di militari tedeschi. La cittadina è liberata il 7 luglio ad opera di un gruppo di partigiani legati a due ex ufficiali locali, Virgilio Guerci e Italo Londei, appartenenti alla formazione partigiana con a capo Fausto Cossu.

Nei territori liberati i comandanti partigiani provvedono a sostituire alla direzione dei Comuni i podestà e i commissari nominati dal regime fascista con sindaci e organi collegiali composti da antifascisti apprezzati dalla popolazione, in qualche caso, come avverrà più avanti a Bettola, scelti tramite il voto di tutti i capifamiglia.

Dalle bande alle Brigate partigiane

Questi successi partigiani e le sconfitte in Italia dell’esercito tedesco che, incalzato da quello degli Alleati, il 5 giugno è costretto ad abbandonare Roma e a ritirarsi sempre più verso il Nord, ingrossano via via, anche in provincia di Piacenza, le adesioni al movimento partigiano. Anche dei giovanissimi, che per la loro età non rischiano il reclutamento della Rsi, raggiungono i partigiani e diventano combattenti per la nuova Italia (Re Amato, Covati Agostino). Crescono i componenti delle bande partigiane, si attuato fusioni, nascono le brigate con almeno 200/300 componenti e sono riconosciute come tali dagli organi superiori della Resistenza.

In Val d’Arda la formazione al comando di Bersani alla fine di aprile è denominata 38° Brigata Garibaldi. Quella d’Istriano è riconosciuta quale 59a Brigata Garibaldi “Caio” (nome di un dei due partigiani caduti a Farini). Quella al comando di Montenegrino quale 60a  Brigata Garibaldi “Stella Rossa”. In Val Trebbia-Val Tidone la formazione di Fausto Cossu viene denominata Brigata Giustizia e Libertà.

Nel frattempo i Comandi degli Alleati anglo-americani si rendono conto che i partigiani italiani stanno dando un contributo importante per la sconfitta dell’esercito hitleriano e del collaborazionista regime fascista e cominciano così, tramite  lanci aerei, ad inviare armi e munizione alle formazioni della Resistenza (lanci aerei alleati). Più avanti provvederanno anche a paracadutare dei loro emissari e personale con apparati radio trasmittenti presso le principali formazioni parigiane, per acquisire informazioni sulla loro entità ed il loro operato, verificarne i bisogni e predisporre i lanci, nonché coordinarne per il possibile le azioni con quelle delle forze militari alleate (missioni alleate).

L’offensiva antipartigiana del mese di luglio

I comandi militari tedeschi a loro volta, rendendosi conto che le milizie fasciste – nonostante la costituzione di una nuova formazione militare, la Brigata Nera Pippo Astorri –  non sono in grado di reggere lo scontro con le formazioni partigiane, provvedono ad affiancare quelli della Rsi con loro reparti militari.  Dalla seconda settimana di luglio e per tutto quel mese viene organizzato con milizie della RSI, truppe tedesche e mezzi blindati, un grande rastrellamento in Val d’Arda, Val Nure e Bassa Val Trebbia, denominato Operazione Wallenstein. Lo scopo è anche quello di prelevare maschi adulti abili al lavoro da inviare in Germania per le fabbriche tedesche di armi.

Il passaggio delle forze nazifasciste è segnato de incendi, da razzie, da cadaveri di partigiani e civili lasciati bene in vista a monito della popolazione. Anche alcuni parroci accusati di essere solidati con i ribelli sono portati via, condotti a Parma e trattenuti per diversi giorni. Perde la vita in combattimento, il 19, luglio a Tabiano di Carpaneto, anche il comandante Valdimiro Bersani. Al comando delle 38a Brigata Garibaldi andrà Giuseppe Prati.

I partigiani sono costretti a sganciarsi, ad abbandonare momentaneamente anche i capoluoghi dei comuni già liberati, a ritirarsi in zone non investite dal rastrellamento, in alta Val Trebbia e nel parmense, facendo saltare alcuni ponti alle loro spalle per ostacolare il passaggio degli inseguitori.

Tuttavia, finita la morsa del rastrellamento, ritirati dal piacentino i reparti tedeschi, i partigiani riprendono in breve il controllo delle zone già  liberate e si predispongono a cacciare i presidi fascisti da altri comuni montani e collinari.

Nella Val Tidone, pur non investita dal rastrellamento, il 30 luglio, dopo un fallito attacco ai partigiani insediati nella Rocca d’Olgisio e la perdita in quell’azione un sottufficiale tedesco, viene messo in atto dai nazifascisti  una rappresaglia sulla popolazione civile della frazione di Strà: il massacro di cinque donne fra i 21 e gli 85 anni d’età, di un bambino di 2 anni assieme alla madre che lo teneva in braccio, di un invalido di 16 e di due anziani di 72 e 76 anni (l’eccidio-rappresaglia di Strà).

AGOSTO – NOVEMBRE 1944

 Il 60% del territorio piacentino sotto controllo partigiano

Fra il mese di agosto e l’inizio dell’autunno crescono ulteriormente le formazioni  partigiane e per il coordinamento della loro azione vengono costituiti organismi di comando superiori a quelli locali. In campo nazionale i combattenti  sono inquadrati nel Corpo Volontari della Libertà (CVL) e in Zone partigiane. Il territorio piacentino viene classificato come XIII Zona e posto sotto un Comando Unico, assegnato ad Emilio Canzi, tornato libero a fine giugno tramite uno scambio con militi fascisti catturati dai partigiani nella battaglia di Lugagnano Val d’Arda del 20 giugno. Viene costituito anche un organismo interprovinciale di direzione, il Comando Nord Emilia.

Nelle vallate dove si sono formate più brigate, queste vengono accorpate in Divisioni: nasce così la Divisione Giustizia e Libertà della Val Tidone-Val Trebbia, al comando di Fausto Cossu, che comprende 7 brigate GL, la Divisione Val d’Arda al comando di Giuseppe Prati, con 4  Brigate Garibaldi. Le due brigate della Val Nure fanno capo direttamente al Comando Unico di Zona.

I partigiani procedono gradualmente a cacciare i presidi nazifascisti praticamente da tutti i comuni montani e collinari, liberando oltre la metà del territorio provinciale.

In Val Tidone il controllo delle formazioni partigiane si estende ai territori dei comuni di Nibbiano e di Pianello.

In Va Trebbia tutta l’alta e media vallata fino a Rivergaro.

In Val Nure una conquista di grande rilievo, all’inizio di agosto, è quella di Bettola, a cui più avanti si aggiunge la liberazione di Ponte dell’Olio, dopo una aspra  battaglia nel contesto della quale perde la vita il capitano inglese Archibald Mackenzie – Capitano Mak –  già ex prigioniero, tornato libero il 9 settembre del ’43 e diventato vice-comandante della Brigata Stella Rossa.

In Val d’Arda il territorio liberato viene a comprendere anche quello dei comuni di Gropparello e di Lugagnano.

Squadre volanti ; sappisti; repubbliche partigiane.

Armi e munizioni, in aggiunta a quelle che giungono dai lanci aerei degli Alleati,  i partigiani se le procurano anche tramite agguati ad automezzi militari tedeschi, sulla via Emilia in particolare, e pure con qualche improvvisa incursione in caserme e all’Arsenale di Piacenza. Diversi colpi di mano vengono attuati nelle polveriere militari dislocate ad una certa distanza della città.

In queste azioni, compiute dalle cosiddette squadre volanti, emergono figure di partigiani particolarmente intraprendenti  e coraggiosi, quali l’ex brigadiere dei carabinieri  Alberto Araldi “Paolo”,  originario di Ziano piacentino, Lino Vescovi “Il Valoroso”, di Monticelli d’Ongina, Giovanni Lazzetti “Il Ballonaio”, di Borgonovo Val Tidone, Pivovarov Vasilij Zakharovic “Grosni”, russo, portato in Italia  dall’esercito tedesco e da questo fuggito.Tutti e quattro alla fine pagheranno con la vita il loro grande contributo alla lotta contro i nazifascisti.

Oltre all’aiuto essenziale che le formazioni partigiane ricevono dalla popolazione delle zone in cui sono presenti, un importante sostegno viene loro assicurato anche da centinaia di residenti a Piacenza e nei comuni della provincia che, pur non abbandonando la propria casa ed il proprio lavoro, si organizzano nelle Squadre di Azione Patriottica (SAP). Queste – i sappisti – oltre a compiere sabotaggi ai mezzi di guerra dei tedeschi e dei fascisti, indirizzano via via nuovi aderenti verso le formazioni partigiane, raccolgono e fanno avere  loro mezzi materiali e finanziari, si procurano informazioni sui movimenti delle forze nazifasciste e le trasmettono tramite staffette femminili che hanno maggior possibilità di circolazione (staffette partigiane).

Dopo gli arresti d’inizio anno, è stato ricostituito ed è tornato pienamente operativo anche l’organismo politico della Resistenza, il CLN provinciale, che da agosto è composto da Emilio Molinari “Bruni” per la Dc, Ettore Crovini “Mattia” per il Pci,  Luigi Rigolli “Pesaro” per il Psi e  Aldo Clini “Adriano” per il Partito d’Azione.

L’azione del CLN piacentino, oltre alla tenuta dei rapporti con il vertice nazionale della Resistenza, il CLN Alta Italia insediato clandestinamente a Milano,  si esercita soprattutto nei comuni liberati, nel dare impulso alla costituzione delle nuove amministrazioni antifasciste e nell’orientarne l’attività. Particolarmente rilevanti le nuove esperienze ammnistrative nei due capoluoghi di vallata, Bobbio e Bettola, per i problemi affrontati ed i rapporti con i cittadini, tanto da essere ricordate come due Repubbliche Partigiane anticipatrici della futura democrazia italiana.

Il rastrellamento in Val trebbia della Divisione Monterosa della Rsi

In questa fase di successi partigiani, viene messo in campo un poderoso tentativo da parte dei comandi tedeschi e della Rsi di riacquistare e mantenere il controllo della Val Trebbia e della strada di fondovalle, la statale 45, che, collegando Genova con la Val Padana, è considerata una struttura  strategica nella guerra in corso.

Il nuovo regime fascista, nonostante che i suoi bandi di reclutamento fossero stati  disertati dalla grande maggioranza dei richiamati e dalle nuove leve, era riuscito infine a costituire un suo piccolo esercito formato da quattro Divisioni armate ed addestrate direttamente in Germania. Alla fine di luglio la più grossa – Divisione Alpina Monterosa – costituita da quasi 20.000 uomini, era rientrata in Italia e dislocata in Liguria.

A metà agosto diversi battaglioni della Monterosa e reparti di altri corpi militari vengono inviati a cacciare, uccidere, catturare, i partigiani che tengono il controllo della Val Trebbia. Su Bobbio l’attacco arriva da tre direzioni diverse: dall’alta Val Trebbia, dalla Val d’Aveto e dall’alto Pavese tramite la strada del valico di Monte Penice. I partigiani della Divisione di Fausto Cossu fronteggiano gli attaccanti e li bloccano prima di Passo Penice, ma né come numero, né come armamento e munizioni sono in condizioni di reggere a lungo lo scontro. Dopo le prime perdite sono costretti a ritirarsi e a raggiungere luoghi di montagna lontani dalle vie di comunicazione. Così verso la fine di agosto Bobbio gli altri centri abitati lungo la Statale 45 tornano sotto il controllo delle forze nazifasciste che vi insediano dei consistenti presidi militari.

Nelle settimane seguenti avviene però una delle più straordinarie e significative vicende della Resistenza: diversi di quegli alpini addestrati in Germania, tornati in Italia si rendono conto di trovarsi dalla parte sbagliata e non vogliono combattere a fianco dei tedeschi contro i partigiani italiani. Poco alla volta disertano dai loro reparti e vanno a raggiungere i “ribelli”. Con 245 di loro viene costituita la VII Brigata partigiana della Divisione GL. Si chiama Brigata Alpina partigiana “Aosta” ed ha come comandante l’ex ufficiale bobbiese degli alpini Italo Londei. Si indeboliscono pertanto i presidi militari dei nuovi occupanti e riprende contro di essi l’iniziativa delle formazioni partigiane.

Il 22 ottobre Bobbio è liberata per la seconda volta, e nei giorni seguenti anche tutta la media e l’alta Val Trebbia tornano sotto il controllo dei partigiani.

NOVEMBRE 1944 – FEBBRAIO 1945

Il grande rastrellamento dell’inverno 1944-‘45

Il 13 novembre ’44, il generale inglese Alexander, capo dell’esercito alleato, che era attestato contro quello tedesco  sulla Linea Gotica, compreso il crinale appenninico fra l’Emilia e la Toscana,  annuncia la sospensione delle operazioni offensive per il periodo invernale. Ne approfitta il Comando dell’esercito tedesco per spostare reparti militari dal fronte ed impiegarli contro le formazioni partigiane, investendo le zone da queste controllate con un poderoso rastrellamento.

Oltre ad altri reparti germanici e della Rsi, viene mobilitata verso il territorio appenninico pavese-piacentino-parmense l’intera Divisione “Turkestan”, composta, sotto il comando di ufficiali tedeschi, da soldati reclutati di forza nell’Urss, in particolare nelle regioni asiatiche, soldati definiti “mongoli” dalla popolazione piacentina. L’obiettivo è quello di ripulire da ogni formazione di ribelli tutto il territorio alle spalle del fronte. La tattica adottata questa volta dai comandi tedeschi è quella di isolare e circondare, con forze soverchianti, via via le singole vallate sotto il controllo dei partigiani. Vengono utilizzate  non solo le strade principali, ma percorso tutto il territorio, ora sui crinali, ora a mezza costa, ora nei fondovalle.  E  non ci si limita ad investire i capisaldi dei partigiani, la caccia  prosegue anche nei piccoli centri abitati e caseggiati sparsi della  montagna dove i partigiani vanno a rifugiarsi. Si procede spesso anche all’immediata fucilazione dei catturati e all’incendio delle costruzioni, per seminare il panico fra combattenti ed il terrore fra la popolazione (Il grande rastrellamento dell’inverno 1944-‘45)

L’attacco, a partire dal 23 novembre e con un complesso di almeno 15.000 armati, investe innanzitutto la val Tidone e la val Trebbia, da cinque punti di partenza diversi e con l’impiego quindi di cinque grossi reparti militari. Dopo averli fronteggiati in sanguinosi combattimenti, i gruppi partigiani della Divisione G.L. al comando di Fausto Cossu, ormai circondati, cercano la salvezza trasferendosi in val Nure, da Bobbio passando a Coli e  a Pradovera,  e da Perino lungo la Strada del Cerro, sempre incalzati dalle truppe nemiche. Ma il secondo obiettivo dell’attacco tedesco è proprio la val Nure e la riconquista di Bettola, dove, superato le ultime resistenze dei partigiani al Passo del Cerro, i reparti della Turkestan si installano il 1° dicembre. Da lì, con il supporto di altre formazioni dislocate fra Piacenza e Fidenza, fanno incursioni verso la val d’Arda – compiendo fra l’altro, il 4 dicembre, l’imboscata di Passo dei Guselli – e verso l’alta val Nure dove una parte dei partigiani in fuga si è ritirata con il comandante Emilio Canzi.

Il 5 gennaio 1945 inizia l’attacco finale ed il territorio ancora controllato dai partigiani è chiuso in una morsa, mentre una grande nevicata copre ogni cosa: sia l’alta val Nure che la val d’Arda sono investite dal basso e dall’alto da grossi contingenti. Con la neve che ha raggiunto il metro d’altezza e ostacola i movimenti, diversi gruppi, compreso il comandante Emilio Canzi, cercano di trovare rifugio nell’Appennino parmense,  ma i soldati tedeschi sono già arrivati anche lì. E allora è la disperazione e lo sbandamento: colonne e piccoli gruppi di partigiani, mal vestiti e affamati,  per sottrarsi alla cattura vagano faticosamente nella neve e nella nebbia da un luogo all’altro. Oltre a quelli che rimangono sul terreno (strage della Rocchetta), molti sono quelli catturati in quei giorni e (agguato di Pertuso) se non passati immediatamente per le armi, eliminati nei giorni seguenti (eccidio di Rio Farnese).

Lo stillicidio delle catture e degli eccidi, dopo brevi scontri o a seguito della scoperta degli improvvisati nascondigli dei partigiani, continuerà in tutto il territorio piacentino fino ai primi di febbraio.

Durante quelle settimane  perdono la vita nel territorio piacentino almeno 274 partigiani, circa 300 sono i  feriti. Fra le vittime sono anche due donne partigiane, Luisa Calzetta e Maria Macellari.

Le forze militari e di polizia nazifasciste tornano a presidiare i capoluoghi provinciali e da li fanno appunto incursioni nelle frazioni. Viene data la caccia anche ai cittadini sospettati di favoreggiamento nei confronti dei partigiani.

Arresti e fucilazioni anche a Piacenza

Anche nei centri urbani della pianura ed in particolare a Piacenza viene data la caccia agli abitanti sospettati di favoreggiamento nei confronti dei partigiani. Fra l’altro, con il restringersi del territorio italiano sotto controllo nazifascista, sono confluiti in provincia di Piacenza corpi armati di altre zone, fra cui la Brigata Nera di Lucca, due battaglioni delle SS italiane e squadre della Decima Mas.

A Piacenza si susseguono gli arresti. In questa fase ben 1.122 persone vengono recluse nel carcere della città e in caserme, essendo il carcere strapieno. Cittadini prelevati dal carcere sono fucilati al cimitero di Piacenza. Altri piacentini sono prelevati e fucilati per rappresaglia in provincia di Parma e di Reggio Emilia (arresti e fucilazioni a Piacenza). Fra i tanti, vengono fucilati anche il componente socialista del CLN Luigi Rigolli, l’ex brigadiere diventato comandante di una Brigata GL Alberto Araldi, Giovanni Lazzetti “Il ballonaio”, il comunista a capo della SAP della città Luciano Bertè ed il sacerdote Giuseppe Borea (sacerdoti con i partigiani).

Durante quel periodo perdono la vita non meno di 274 partigiani piacentini. Circa 300 sono i feriti. Fra le vittime ci furono anche due donne partigiane, Luisa Calzetta “Tigrona”, caduta a Passo dei Guselli, e Maria Macellari “Carma”, catturata in val Trebbia ed uccisa non si sa come.

FEBBRAIO – APRILE 1945

La riorganizzazione delle formazioni partigiane e le nuove liberazioni dei comuni.

A quel punto qualsiasi esercito regolare avrebbe preso atto della propria sconfitta e si sarebbe ritirato dal campo. Non lo fanno i partigiani. Sono decimati, dispersi, braccati, nascosti nei luoghi più impervi, ma sanno che la causa della pace, dell’indipendenza nazionale e della libertà non può essere abbandonata. E traggono speranza ed incoraggiamento dal sapere che l’esercito hitleriano negli altri fronti europei, sia ad est, Russia, che ad ovest, Francia, è in ritirata.

Le forze militari nazifasciste perdono invece fiducia in sé stesse; la pressione verso il territorio montano gradualmente si allenta. I partigiani sparsi in febbraio riprendono i contatti, si ricostituiscono i nuclei delle vecchie formazioni.  Avviene addirittura che soldati della Turkestan, i temuti “mongoli”,  in piccoli gruppi  lasciano i loro reparti e, portando con sé  le armi individuali, vanno nei paesini di montagna alla ricerca dei partigiani, non per catturarli ma per passare dalla loro parte. Alla fine saranno ben 484 i soldati originari dell’Est europeo entrati nelle file della Resistenza piacentina, o che comunque si sono rifugiati fra i partigiani; diversi danno importanti contributi alla lotta finale contro le forze nazifasciste e  in almeno 25 vi perdono la vita.  Anche 57 militari, fra cui due ufficiali, della Grande Germania hitleriana, che comprendeva l’Austria, negli ultimi mesi della guerra, in provincia di Piacenza abbandonano il loro esercito,  la Wehrmacht, e si uniscono ai partigiani, dande anch’essi un contributo di sangue alla Resistenza italiana: tre caduti fra cui un ufficiale (dalla Werhmacht a partigiani).

Le brigate partigiane si ricostituiscono e riprendono l’iniziativa. Gli Alleati riprendono i lanci di armi, munizioni ed altri necessari equipaggiamenti militari, anche divise. Il governo dell’Italia già liberata che stava a Roma sotto la presidenza di Ivanoe Bonomi, nel dicembre ‘44 aveva riconosciuto il CLN AI, e quindi il CLN locali, come  propri rappresentanti nell’Italia ancora sotto l’occupazione tedesca a la Rsi e aveva disposto anche un finanziamento per il sostentamento delle formazioni partigiane. Riconoscimento ufficiale anche da parte del Comando alleato.

Il 23 febbraio, dopo una giornata di aspri combattimenti, i partigiani, che si sono riaggregati in Val Nure, liberano Bettola.

Dai partigiani della Val d’Arda il 27 febbraio è liberata Lugagnano.

Il 1° marzo Fausto Cossu s’incontra con suoi uomini a Pecorara e concorda attacchi ai presidi nemici della val Tidone e della Val Trebbia. Il 3 marzo la cittadina di Bobbio è liberata per la terza volta . L’8 marzo è la volta di Pianello Val Tidone.

Le formazioni partigiane ed i loro comandanti alla Liberazione

Risulta sempre più evidente che la sconfitta generale della Germania nazista è prossima e che il regime fascista italiano è in agonia. Questo dato e i nuovi successi partigiani inducono anche gli antifascisti più riluttanti all’impegno e al rischio a uscire allo scoperto e ad unirsi ai combattenti partigiani. Con nuovi arrivi si ingrossano le vecchie brigate e se ne costituiscono di nuove. Vengono abbandonati i vecchi nominativi  – “Garibaldi” e “Giustizia e Libertà” – e tutte le formazioni vengono intitolate a partigiani caduti; sono cambiati anche alcuni comandati. La situazione finale, al momento della Liberazione è la seguente.

DIVISIONE PIACENZA, comandante Fausto Cossu, composta da 11 brigate: 1a Brigata “Diego”; comandante Antonio Piacenza; 2a Brigata “Busconi, comandante Carlo Comaschi; 3a Brigata “Paolo”, c. Ezio Spinardi; 4a Brigata “Cattaneo”, c. Giuseppe Follini; 5a Brigata “Ciancio”, c. Pippo Comolli; 6a Brigata “Fratelli Molinari”, c. Ginetto Bianchi; 7a Brigata “Gino Cerri”, c. Italo Londei; 8a Brigata “Botti”, c. Enrico Rancati; 9a Brigata “Valoroso”, c. Mario Docelli; 10a Brigata, c. Giovanni Menzani; 11a Brigata “Montesanto”, c. Lodovico Muratori.

DIVISIONE VAL NURE, comandante Pio Pietro Godoli, composta da tre brigate: Brigata “Inzani”, c. Giuseppe Salami; Brigata “Gianmaria”, c. Antonio Cristalli; Brigata “Mac”, comandante Gino Cobianchi.

DIVISIONE VAL D’ARDA, comandante Ernesto Prati, composta da otto brigate: Brigata “Villa”, c. Alessio Gobbi; Brigata “Evangelista”, c. Romolo Carini; Brigata ”Castagnetti”, c. Franco Rovelli; Brigata “Romeo”, c. Giuseppe Narducci; Brigata “Vaccari”, c. Carlo Gaboardi; Brigata “Gallinari”,  c. Fermo Freschi; Brigata “Inzani”, c. Giuseppe Panni; Brigata “Ballerini”, c. Giuseppe Gori.

Invece alla Liberazione non sarà più Emilio Canzi il comandante in capo dei partigiani piacentini. Se un carattere fondamentale della Resistenza anche nel piacentino è stata l’unità fra soggetti pur di orientamento politico diverso, nel momento in cui si prospetta la fine del nazifascismo e l’avvio del processo di costruzione di un nuovo sistema politico, i diversi orientamenti si fanno sentire. I comunisti in specifico, che erano stato un fattore decisiva nell’avvio e nella organizzazione della Resistenza, vogliono che al momento della Liberazione sia un esponente di loro fiducia al vertice del movimento partigiano. Cosi il libertario senza partito Canzi, pochi giorni prima della Liberazione, anche tramite un atto di forza nei suoi confronti, viene sostituito nel Comando Unico dal colonnello Luigi Marzioli, già capo del Comando Piazza partigiano  di Piacenza (Composizione e ruolo del Comando Unico)

La battaglia del Monticello 

Queste formazioni fra marzo ed aprile estendono il loro controllo verso il territorio della pianura, in atteso di coordinare con l’avanzata degli alleati la discesa su Piacenza. Le forze militari nazifasciste tentano però un colpo di coda sul più avanzato distaccamento partigiano verso la città, quello insediato nel castello di Monticello, in comune di Gazzola. All’alba del 16 aprile, il castello, nel quale sono presenti 32 partigiani, è circondato da una formazione militare nazifascista dieci volte superiore. All’intimazione della resa i partigiani, che stanno all’erta, rispondono con il lancio di bombe sugli attaccanti. Bloccata così l’irruzione nel castello, si accende una intensa battaglia fra i partigiani che sparano dalle finestre e i militari nemici appostati all’intorno del complesso. Prima che le munizioni dei difensori si esauriscano giunge in loro aiuto dal non lontano Castello di Monteventano Lino Vescovi “Valoroso” con i suoi uomini. Intervento decisivo nel determinare la disfatta ed il ritiro dei nazifascisti, ma nell’ultima fase del combattimento proprio Lino Vescovi viene colpito a morte. Una ventina almeno i caduti di parte nazifascista, ma, oltre a quella di Valoroso, quell’importante successo partigiano costa la vita anche  del comandante del distaccamento di Monticello, Gino Cerri, e di altri due partigiani, Aldo Passerini e Carlo Ciceri (battaglia del Monticello).

La liberazione di Piacenza

Nove giorni dopo, il 25 aprile, il CLN AI proclama l’insurrezione nazionale di tutti i gruppi combattenti. Inizia così la mobilitazione generale anche delle forze partigiane piacentine. Lasciano le loro posizioni nel territorio montano e collinare e convergono verso Piacenza lungo le fondovalli della Val Trebbia, della Val Nure e della val d’Arda, e lungo la via Emilia parmense e  pavese.  Il 26 e 27 hanno luogo gli ultimi scontri con le forze tedesche le quali, essendo anche in arrivo, dalla direzione di Parma, reparti militari degli Alleati, abbandono la citta nella notte fra il 27 e 28, traghettando sul Po verso la Lombardia, sempre incalzati da gruppi di partigiani fino a che, il 29 aprile, arriva la notizia che l’Alto Comando tedesco in Italia ha firmato la resa delle sue truppe, anticipando di dieci giorni la resa generale della Germania nazista nelle mani degli Alleati

I partigiani entrano a Piacenza qualche tempo prima degli Alleati, la mattina presto del 28 aprile, dovendo ancora guardarsi da cecchini fascisti appostati nei piani alti di alcuni palazzi, ma accolti dall’entusiasmo della popolazione che scende nelle vie a salutarli. Nei tre giorni di combattimenti per la liberazione di Piacenza hanno perso la vita ancora quaranta partigiani (liberazione di Piacenza).

Nella stessa giornata del 28 aprile i componenti del CLN provinciale, riuniti in Prefettura, provvedono subito a nominare le nuove autorità cittadine, investendo stimate autorità antifasciste dell’incarico di prefetto, sindaco, presidente della provincia e questore (nuove autorità antifasciste).

Dopo la Liberazione

Il 5 maggio 1945 ha luogo a Piacenza la grande manifestazione celebrativa della vittoria sui nazifascisti, per le vie della città e nella centrale Piazza dei Cavalli, conclusa con la consegna, in piazza Cittadella, delle armi utilizzate dai partigiani (manifestazione della vittoria). Nei giorni seguenti un Ufficio Patrioti (Patriot Branch) sotto il controllo dell’Amministrazione Militare Alleata (Allied Military Government – AMG), provvede, con la collaborazione degli “Uffici stralcio” delle tre Divisione e delle Brigate partigiane, alla consegna ai partigiani del certificato di Patriota, il cosiddetto “Diploma Alexander”, dal nome del maresciallo inglese  comandante supremo delle forze del Mediterraneo, dalla  cui firma i diplomi sono sottoscritti. Si provvede inoltre alla smobilitazione dei partigiani, con il ritorno alle loro famiglie, a passare nelle mani degli Alleati i militari tedeschi fatti prigionieri degli alleati e ad avviare al rimpatrio i partigiani di origine straniera.

Successivamente il nuovo governo dell’Italia democratica assume un provvedimento per il riconoscimento ufficiale, da parte di apposite commissioni regionali, dei partigiani e collaboratori della lotta contro gli occupanti hitleriani del nostro territorio ed il regime fascista di Salò. Attraverso le istruttorie facenti capo generalmente all’ANPI, nata come associazione unitaria dei partigiani (storia dell’ANPI),  vengono riconosciuti quali resistenti attivi 8.252 piacentini, dei quali 6.636 propriamente combattenti Partigiani, 1.119 Patrioti collaboratori e 497 Benemeriti per forme di aiuto prestate. Sono conteggiati 778 caduti e 924 feriti (riconoscimento partigiani).

Il CLN piacentino, in una più ampia composizione, continua ad operare attivamente come organo consultivo dell’AMG e dei nuovi amministratori delle istituzioni pubbliche locali designati dallo stesso CLN,  fino alle lezioni ammnistrative che, in provincia di Piacenza si tengono nel marzo del 1946. Eletti dai cittadini, per la prima volta a suffragio universale maschile e femminile, gli organi dei Comuni, avviato cioè il sistema democratico, l’organo politico unitario della Resistenza cessa la sua funzione (dalla Liberazione alle elezioni del marzo 1946).

Bibliografia

Sono innumerevoli i testi concernenti la Resistenza in provincia di Piacenza. Molti di natura memorialistica. Qui vengono indicati solo i principali d’impostazione storiografica e relativi al fenomeno nel suo complesso e all’insieme del territorio provinciale.

  • VV. – L’Emilia Romagna nella guerra di liberazione – 4 volumi: La lotta armata; Partiti politici e CLN; Azione operaia, contadina, di massa; Crisi della cultura e dialettica delle idee. De Donato, 1975 -1976.
  • Berti Giuseppe, Linee della Resistenza e Liberazione piacentina – La società piacentina degli anni quaranta (1943-1945), Istituto per la Storia della Resistenza-Piacenza, 1980.
  • Chiapponi Anna, Piacenza nella lotta di Liberazione 1943-1945, Vicolo del Pavone, 2006 (Ed. originale 1976).
  • Dondi Mirco, La Resistenza fra unità e conflitto, Bruno Mondadori, 2004.
  • La Rosa Antonino, Storia della Resistenza nel piacentino, TIP.LE.CO, 1985 (Ed. originale 1958).