I venti mesi dell’occupazione tedesca e del regime fascista di Salò in provincia di Piacenza non sono caratterizzati soltanto dalla lotta sanguinosa fra i corpi armati nazifascisti e i partigiani del movimento di liberazione. Anche la popolazione piacentina più in generale subisce le conseguenze della occupazione tedesca e del ritornato regime fascista, a partire dello stesso prolungamento della guerra di altri 20 mesi rispetto all’armistizio annunciato dal governo Badoglio l’8 settembre 1943.
Innanzitutto sono gli abitanti delle vallate appenniniche, che soccorrono i partigiani in vari modi, ad essere anch’essi oggetto delle azioni repressive dei nazifascisti, con arresti, incedi delle case, eccidi. Ma non solo essi. Qui esaminiamo in particolare la condizione di chi abita a Piacenza, dove vengono a sommarsi diverse pesanti conseguenze della continuazione della guerra e dell’oppressione nazifascista.
Violenza e terrore
A Piacenza l’occupazione tedesca viene esercitata tramite la Platzcommandantur dell’esercito e corpi di polizia quale la Gestapo delle SS, nonché tramite funzionari civili hitleriani, tutti impegnati a reprimere spietatamente ogni resistenza e a sfruttare le riscorse umane ed economiche locali al servizio della guerra nazista. Al loro fianco operano gli organi militari e le diverse milizie della Rsi: GNR e relativo Ufficio Politico Investigativo (Upi), Brigata Nera piacentina e altri gruppi armati che reclutano in concorrenza fra di loro soggetti di qualunque età, sesso e condizione morale. Le milizie in particolare hanno il compito di tenere in soggezione la popolazione con la violenza e con il terrore. Scorrazzano per la città nelle loro varie divise, rimettono sugli edifici i simboli del vecchio regime, ripristinano i nomi fascisti delle vie, ostentano atteggiamenti vendicativi. Nei confronti di persone sospette di azioni o anche solo sentimenti antifascisti, persino di chi gli è e sfuggito di dire che la guerra è ormai persa per al Germania, compiono ciò che è descritto in una relazione del questore di Piacenza Giocchino Grampini in data 29 agosto 1944: “L’Upi opera fermi, perquisizioni, arresti, con sistemi e metodi terroristici, cerca di strappare confessioni alle persone con brutali vessazioni, percosse e sevizie: le imprecazioni, gli urli, i pianti, sono sentite dagli abitanti del vicinato con terrore e raccapriccio. Da parte sua la Brigata Nera opera arresti e perquisizioni. Tutti compiono azioni di polizia con metodi propri, con la sola preoccupazione di incutere spavento e terrore nella popolazione ed appropriarsi di quanto trovano come bottino personale”. Tre settimane dopo questa relazione il questore Grampini è arrestato ed espulso da Piacenza.
Molti degli arrestati dalle milizie fasciste sono poi consegnati alla polizia tedesca che dopo nuovi violenti interrogatori decide il loro destino, che in molti casi consiste nella deportazione in lager della Germania per il lavoro coatto e la morte per sfinimento e deperimento fisico oppure nella fucilazione.
Deportazioni e fucilazioni
Da vecchia piazzaforte militare Piacenza ha abbondanza di caserme e depositi, inoltre la sua posizione territoriale diventa ancora più strategica dall’estate del ‘44, quando il territorio della Repubblica di Salò si va via via restringendo per l’avanzata del fronte verso la Val Padana. Vi giungono così pure formazioni militari fasciste provenienti da altre province, fra cui i resti – un centinaio di uomini – della Brigata Nera di Lucca e due battaglioni delle Waffen SS italiane al comando di un colonnello tedesco. Dal novembre ’44 Piacenza diventa anche lo snodo del poderoso e sanguinoso rastrellamento antipartigiano della 142a Divisione di fanteria tedesca Turkestan, che per due/tre mesi sconvolge e paralizza tutto il movimento partigiano.
Pervasa dalle forze nazifasciste, la città, fra dicembre ’44 e marzo ’45 vive il suo periodo più tragico. I registri del carcere documentano l’ingresso in quel periodo nelle sue celle e in altri locali di supporto di 1.122 persone, fra combattenti partigiani catturati durante il rastrellamento e altri antifascisti o sospettati tali prelevati dalle loro abitazioni a Piacenza. Ai sommari interrogatori seguono deportazioni in Germania e fucilazioni. Sono 81 i piacentini di cui è documentata la deportazione in lager tedeschi, nei quali solo 39 sopravvivono; altri 82 sono destinati alla stessa sorte, ma restano nel campo di transito di Bolzano perché i bombardamenti alleati hanno reso inservibile la linea ferroviaria verso la Germania.
Di fucilazioni, i fascisti piacentini ne eseguono fra l’altro 17 direttamente nel cimitero di Piacenza, presso quello che verrà poi chiamato il “muro dei fucilati”. Lì, ad imitazione dei nazisti, attuano anche una rappresaglia di dieci fucilati contro uno, quando vengono a sapere della eliminazione da parte partigiana del loro già segretario federale Antonino Maccagni. Per un’altra rappresaglia fascista compiuta ed esibita nel comune reggiano di Cadelbosco il 25 febbraio 1945 vengono messi a disposizione cinque antifascisti prelevati dal carcere di Piacenza, fra i quali il componente socialista del CLN provinciale Luigi Rigolli. Le autorità militari tedesche a loro volta ne prelevano quindici per la loro rappresaglia terroristica del 10 marzo in comune di Fidenza.
Bombardamenti, rifugi, sfollamenti
A partire dal maggio ’44 chi abita o lavora a Piacenza è inoltre giornalmente sottoposto al rischio della morte che arrivava dal cielo. Le forze militari anglo-americane, di fronte alla tenace resistenza di quelle tedesche, fanno massimo ricorso alla propria superiorità aerea per colpire quelle avversarie, disorganizzandone le retrovie, in particolare con la distruzione di depositi e l’interruzione delle vie di comunicazione.
La città è investita da una trentina di incursioni diurne con grandi formazioni di bombardieri e da una sessantina di sorvoli con rilascio di bombe, in complesso circa 1.200 aerei. L’obiettivo sono le infrastrutture, infatti vengono demoliti fra gli altri i due ponti sul Po e lo scalo ferroviario, ma già con il primo bombardamento, fra il 2 e 3 maggio ’44, è colpito anche il centro storico della città. Durante la notte imperversano poi singoli incursori che, con la motivazione di impedire movimenti di truppe e rifornimenti, lasciano cadere bombe verso ogni fonte di luce, con finalità anche di guerra psicologica. Nel complesso a Piacenza le vittime sono 266, più centinaia di feriti, 205 case completamente distrutte, 116 semidistrutte e diverse altre danneggiate.
Per la difesa dai bombardamenti sono predisposti a Piacenza i rifugi antiaerei: se ne contano ben 1.477, di varia dimensione e adeguatezza, per una capienza di circa 50.000 persone. Ma per sottrarsi al pericolo delle incursioni aeree molti piacentini, donne con i figli, anziani, ma anche lavoratori occupati in città, sfollano verso la campagna, verso i piccoli centri della provincia, ammassandosi in locali di ogni tipo. Secondo i dati ufficiali gli sfollati sarebbero un po’ meno di 10.000, ma sono reputati in numero ben superiore.
E le angustie della vita quotidiana
Chi abita a Piacenza, anche quando non vi sono bombardamenti vive sotto continui allarmi aerei, fra angoscianti suoni delle sirene e fughe nei rifugi, negli ultimi mesi della guerra quasi ogni giorno. Inoltre, al tramontare del sole coprifuoco, cioè divieto di circolazione, e poi completo oscuramento. Fame, code davanti ai negozi per ritirare quel poco che passa il razionamento: manca il sale, l’olio, anche tabacco e sigarette, negli ultimi mesi scarseggiano pure pane, pasta, riso, patate, zucchero. Si tira la cinghia, ma si arriva anche al punto che con i soli i tagliandi delle tessere non si campa. Chi ha mezzi si rivolge al mercato nero, va in campagna alla ricerca di alimenti, rischiando però al ritorno in città il sequestro di quello che ha reperito. Gli automezzi sono tutti requisiti dalle autorità germaniche e fasciste, i combustibili sono riservati solo a loro. Si usa la bicicletta ma non si trovano più gomme di ricambio e nel dicembre ’44 anche centinaia di biciclette vengono requisite. Non si trovano nemmeno scarpe nuove, perché le industrie lavorano solo per l’esercito tedesco e ricevono solo materie prime con quella destinazione, e perché quanto è ancora disponibile nei magazzini prende la strada della Germania. E poi il freddo di quel duro inverno ’44-’45: non arriva più in città né carbone né legna, anche perché non funzionano più i trasporti; anche tutti i cavalli e i muli sono censiti e requisiti per i trasporti militari. Per assicurare una provvista di legna per il riscaldamento degli edifici viene preso in considerazione dall’Amministrazione comunale l’abbattimento dei grandi alberi che contornano il Pubblico Passeggio. Ma il Comando tedesco dice no, quegli alberi potrebbero servire come copertura degli automezzi militari tedeschi dagli avvistamenti aerei. Il Comune d’altra parte è anch’esso innanzitutto al servizio degli occupanti, deve requisire e mettere a loro disposizioni sedi e alloggi, procurare arredi, perfino biancheria e personale di servizio per i militari e gli impiegati tedeschi, e pagare tutte le spese.
Finisce per mancare anche l’energia elettrica nelle case e diviene precario anche l’unico conforto: l’ascolto di Radio Londra che informa sul progressivo arretramento dell’esercito hitleriano su tutti i fronti.
Ma c’è anche qualche segmento di cittadinanza che in questi mesi di sofferenze e angosce si trovava a suo agio proprio fra occupanti tedeschi e oppressori fascisti. Ha annotato il giornalista Ennio Concarotti nel suo libro “Piacenza 40-45”, sulla scorta di una cronaca del quotidiano fascista La Scure :“Capodanno 1945. Il prefetto Graziani e il colonnello Blecher al Municipale per l’esecuzione dell’Andrea Chenier. Pubblico straripante ed entusiasta. Nei palchi ed in platea accanto ad ufficiali tedeschi e della Rsi i signori e le signore della Piacenza bene, in parte provenienti dal ceto dei neoricchi della borsa nera”.
R. R.
Bibliografia
- Ennio Concarotti, Piacenza 40-45 – il dramma di una città, Editrice Humanitas, Piacenza 1984
- Bombe sulla città, opuscolo a cura dell’Isrec, Piacenza 1995
- Ermanno Mariani, Piacenza liberata, Pontegobbo, 2006
- Rinchiudere un sogno. Da Piacenza ai lager nazisti – Il libro dei deportati politici, a cura di Carla Antonini, Quaderni di Studi Piacentini dell’Isrec, Scritture, 2011
- Giulio Cattivelli, La guerra di Cat, a cura di Stefano Pareti, Pontegobbo, 2012
- Claudio Oltremonti, Nelle S.P.I.R.E. del regime, Createspace, 2018